Anticamente il canone veniva recitato dal sacerdote ma non percepito dalla congregazione. Secondo alcuni liturgisti questo accadeva per favorire nell’ambito di monasteri e cattedrali il fatto che si potessero celebrare più messe contemporaneamente su altari confinanti. Certo che nel proclamare ad alta voce rientrano le problematiche a cui ci siamo spesso riferiti in precedenza, quindi bisognerebbe evitare un possibile protagonismo da parte del sacerdote.
Ora che siamo alla fine di quello che è il cuore della celebrazione, possiamo anche chiederci qualcosa in più sulla struttura della stessa preghiera. Angelo Lameri, in un articolo chiamato “Per una teologia della pregjiera eucaristica”, così ne spiega la struttura: “Per quanto riguarda la problematica inerente alla struttura della preghiera eucaristica, è obbligatorio oggi citare le differenti prospettive di E. Mazza e C. Giraudo. Il primo propone una struttura tripartita, osservando come tutte le nuove anafore inserite nel Messale Romano del 1970, derivando la loro struttura dalla tradizione antiochena, abbiano andamento trinitario. Sommariamente l’anafora sarebbe distinguibile in tre settori, ciascuno dei quali darebbe particolare rilievo, rispettivamente, al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo. Il testo della preghiera eucaristica inizia con la lode ed il ringraziamento al Padre per tutto ciò che ha operato, continua poi con la descrizione delle opere del Figlio, soprattutto la sua morte e resurrezione (settore in cui campeggia il racconto dell’istituzione), per concludere con la richiesta dell’intervento dello Spirito Santo per la santificazione del pane e del vino. Da ultimo abbiamo la dossologia finale che è trinitaria e, quindi, concentra e riassume questo carattere dell’anafora”.
Giunti alla fine ci si dovrà ora occupare della dossologia, come faremo di seguito.
Aurelio Porfiri