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Dopo la consacrazione abbiamo l’acclamazione “Mistero della fede” a cui segue la risposta del popolo. Onestamente, pensando a quanto di grande e inaudito si è appena svolto, sentire poi recitare svogliatamente quella formula mi fa un brutto effetto. Si capisce come il cantarla tolga almeno quel tono di quotidiano, di trasandato che purtroppo si sente dentro spesso. Cantare che cosa? Certo ci sono varie melodie che vengono usate, alcune un poco smielate, altre costruite sui toni gregoriani e un pochino più degne.
 
Padre Angelo, sul sito amicidomenicani.it, spiega in questo modo questa acclamazione: “la parola mistero significa “realtà nascosta”. Ora la presenza di Gesù sotto le apparenze del pane e del vino è una realtà nascosta. Per questo siamo invitati dalla Chiesa ad esprimere in quel momento la nostra fede dicendo: “Annunciamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione nell’attesa della tua venuta”. Vale a dire: è stata resa presente a noi la tua passione e morte, così come intende San Paolo quando dice: “Ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga” (1 Cor 11,26). Proclamiamo la tua risurrezione perché è in virtù della tua risurrezione che sei presente in mezzo a noi e ci dai la possibilità di vivere da protagonisti e da contemporanei all’evento della tua passione e della tua morte. “Finché egli venga” e cioè celebriamo questo sacrificio fino alla tua ultima venuta. Commenta San Tommaso: “E con questo viene dato da capire che questo rito della Chiesa non cesserà fino alla fine del mondo, secondo quanto si legge in Matteo: “Ecco io sono con voi fino alla fine del mondo” (Mt 28,20)” (Commento in 1 Cor 11,26)”.
 
Certo, anche qui si sentono echi di un pensiero che lascia un poco perplessi, in quanto io credo che uno dei mali che attanagliano la liturgia è proprio quello di pensare che i protagonisti siamo noi. In fondo, quando si diceva che si “assisteva” alla Messa, non si diceva poi una cosa terribile, in quanto si implicava che i protagonisti non siamo noi, noi siamo lì per essere presenti a qualcosa che accade non grazie a noi, a volte malgrado noi. E questo accadimento non è l’opera del prete, ma anche lui è a servizio di qualcosa di più alto e di più grande.
 
Aurelio Porfiri

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