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Se si continua a parlare dell’offertorio è perché sembra che questo momento rituale abbia mostrato una crisi d’identità più marcata rispetto ad altri momenti della Messa.
Continuiamo con la lettura di ciò che dice l’OGMR: “77. Deposte le offerte sull’altare e compiuti i riti che accompagnano questo gesto, il sacerdote invita i fedeli a unirsi a lui nella preghiera e pronunzia l’orazione sulle offerte: si conclude così la preparazione dei doni e ci si prepara alla Preghiera eucaristica. Nella Messa si dice un’unica orazione sulle offerte, che si conclude con la formula breve: Per Cristo nostro Signore; se invece essa termina con la menzione del Figlio: Egli vive e regna nei secoli dei secoli. Il popolo, unendosi alla preghiera, fa propria l’orazione con l’acclamazione Amen”. Nell’Ordinamento viene ben precisata la divisione fra il ruolo del sacerdote e quello dei fedeli.
Purtoppo la confusione su questo ha portato a tanti dei dissesti che ci hanno accompagnato negli ultimi decenni. Per molti, anche nel clero, la Messa non ha ruoli precisi ma tutti possono e devono fare tutto, o almeno il più possibile. È ovvio che questo non va solo a svantaggio del rito, ma anche del clero stesso, la cui identità diviene irrimediabilmente appannata. Se il clero diviene quasi superfluo, che ce ne facciamo? Ma questa non è la tradizione liturgica della Chiesa e, anzi, questo problema si è ripercosso anche in altri ambiti, come per esempio quello della musica corale in cui il coro è stato pesantemente danneggiato da un’idea iperpartecipazionista, per cui l’assemblea deve essere in carico di ogni cosa e di ogni momento. I risultati di questa idea sciagurata, che non è certo nei documenti e nella prassi tradizionale, sono sotto gl’occhi di tutti.
 
Aurelio Porfiri

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