USI e ABUSI di Aurelio Porfiri: sacerdote, non showman
Il cardinale Mauro Piacenza ha ben espresso questo concetto: “Come ricorda la Lettera agli Ebrei (5, 1-2), il sacerdote è un uomo totalmente relativo a Dio, dell’unico “relativismo” di cui sia possibile gloriarsi! È un uomo costituito dalla Misericordia divina in una precisa funzione rappresentativa di Cristo stesso: è alter Christus, come c’insegna la migliore tradizione ecclesiale. In tal senso egli è, indipendentemente anche dalle personali doti di comunicatore, sacramentalmente costituito in comunicazione-rappresentativa di Cristo stesso: il sacerdote e il sacerdozio non sono autosufficienti o indipendenti da Cristo e, quando – Dio non voglia! – lo divenissero, perderebbero la propria stessa forza missionaria, riducendosi a mere realtà umane, incapaci, per conseguenza di comunicare e rappresentare il Mistero. Lo stesso esercizio dei Tria munera sacerdotali è eminentemente un atto di comunicazione. Non mi riferisco solo al munus docendi, che lo è in modo più diretto e immediato nella predicazione e nella catechesi, ma anche al munus sanctificandi, in quella straordinaria forma di celeste comunicazione che è la divina liturgia, che obbedisce a precise regole comunicative proprie, mai disponibili a personali manipolazioni o aggiustamenti, e al munus regendi, per mezzo del quale i sacerdoti sono chiamati a comunicare la sollecitudine di Cristo Capo, Buon Pastore, che pasce, attraverso i suoi ministri, il gregge, per condurlo al Padre”.
Quando si perde di vista questa dimensione, quando il sacerdote si sente su un palcoscenico, al centro dell’attenzione, c’è qualcosa che non sta funzionando come dovrebbe. Ma è anche difficile, visto come il rito è venuto a configurarsi, sfuggire a queste tentazioni.
Aurelio Porfiri