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Ancora prima di cominciare la Messa ci si pone il problema di che uso fare del foglietto che spesso ci attende sul banco. Ora, quello sui foglietti della Messa è un discorso lungo. Nel passato si usavano i messalini in quanto la gente non capiva i testi in Latino e poteva così seguire la traduzione Italiana. Ma che senso ha seguire i testi quando ora tutto dovrebbe essere comprensibile? E la domanda seguente: tutto deve essere veramente comprensibile? Allora che senso ha la Messa, un incontro conviviale? Preferisco non sentire la risposta a questa ultima domanda che potrebbe essere, come direbbe Paolo Villaggio in Fantozzi, un “tragico sì”. 

 

Ora, questi sussidi liturgici (sussidio è parola che uso per convenzione ma che personalmente aborro) dovrebbero essero in favore della liturgia, non contro la stessa. Noi andiamo alla Messa anche per ascoltare la Parola di Dio non per fare lettura di gruppo. Posso leggere le letture prima e dopo, meglio non durante la Messa, sennò che senso ha la proclamazione? Il prete farebbe prima a dire: e ora vi dò 10 minuti, leggetevi le letture di oggi.

 

Il sussidio liturgico (vabbeh…) ha più senso se vi sono i testi dei canti, ma nel caso nostro spesso i canti suggeriti nel foglietto più diffuso, il paolino “La Domenica”, vengono spesso dal trito e ritrito del postoconcilio (“Nella casa del Padre”) o da nuovi repertori sul cui livello ci sarebbe da aprire un bel dibatito. 

Il problema riguarda anche alcuni messaggi che passano attraverso questi foglietti.

 

Sentiamo che ne pensa il noto giornalista Aldo Maria Valli: “Domenica scorsa, 9 luglio, a Roma, e penso in molte altre chiese di rito romano, è stato distribuito ai fedeli il foglio «La Domenica», con le letture del giorno e le principali preghiere, per aiutare a seguire la celebrazione della messa. In genere, nell’ultima delle quattro paginette della pubblicazione, c’è una riflessione su argomenti di attualità, e in questo caso c’era un intervento sull’esortazione apostolica «Amoris laetitia». Un testo che mi ha fatto nascere molte domande e mi ha lasciato alquanto perplesso. Dopo una prima, veloce lettura mi sono detto: «Che diamine sta scritto qui? Possibile?». Siccome c’era un caldo torrido, ho dato la colpa a me stesso e al mio intorpidimento, poi però ho letto e riletto, e siccome ad ogni rilettura mi sono sentito sempre più sconcertato, ho capito che non era colpa del caldo. Sotto il titolo «Prima la coscienza, poi le regole» (di per sé altamente problematico, come dirò), troviamo questa iniziale affermazione: «Tra le quattro parole che traducono il senso profondo dell’esortazione “Amoris laetitia” (accoglienza, accompagnamento, discernimento, integrazione) il discernimento è quello che merita uno sguardo più attento». Pensavo che, subito dopo, ci sarebbe stata qualche annotazione sul significato del discernimento. Discernimento per arrivare a che cosa? Discernimento guidato da chi, e come? Ma nulla di tutto ciò. Quella che invece viene proposta è un’affermazione tanto perentoria quanto indimostrata, e cioè che, «ricorrendo a questa scelta, il Papa intende concedere alle famiglie cristiane una patente di maturità nella fede». Ma che significa? Che vuol dire, precisamente, che ricorrendo al discernimento il papa concede alle famiglie cristiane una patente di maturità nella fede? Il papa non dovrebbe vincolare le famiglie, come i singoli, alla legge divina? Ammesso comunque che sia così, e cioè che il papa voglia concedere alle famiglie questa fantomatica patente sulla base di un imprecisato discernimento, quale sarebbe lo scopo finale? Non si sa”.

 

Insomma, il messaggio è chiaro: questi “sussidi liturgici” spesso sono strumenti per far passare i messaggi dello “spirito del Concilio” tendenza Bologna. Ne abbiamo bisogno? Come detto, per i testi dei canti sono utili, per alcune indicazioni possono essere utili, ma se tradiscono il rito che dovrebbero servire e insegnano una dottrina che inficia l’essere stesso di quel rito, allora dovremmo ben guardarcene.

 

Aurelio Porfiri

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