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La Correctio Filialis non  è un atto di ostilità al Papa, ma di amore. Ne è convinto in questa intervista che ci ha  rilasciato, padre Serafino Lanzetta, teologo, Francescano della Immacolata e firmatario del documento di correzione.

Da teologo. E’ possibile scindere dottrina e pastorale?

“Direi che uno dei problemi principali è proprio una sorta di frattura tra dottrina e pastorale, come se le due cose fossero separabili. La dottrina sarebbe già matura e quindi da lasciare come un libro sullo scaffale polveroso di una biblioteca, mentre la pastorale che è vita e azione ci porterebbe a fare nuove esperienze di fede. Così pensando o agendo di fatti non solo si procura una ferita all’impianto dottrinale rivelato da Dio – si causa una scissione tra l’aspetto noetico e dinamico della Parola di Dio – ma si sceglie anche di sostituire alla dottrina della fede, a volte considerata troppo dura, a volte troppo stretta, già una nuova dottrina, quella che fa dell’”azione” il principio della conoscenza e della vita. Dottrina e pastorale non possono separarsi senza sostituire alla dottrina una nuova filosofia della prassi e senza trasformare la pastorale in un’azione che dirige l’essere. In modo molto concreto, la vita nel suo flusso e riflusso esistenziale finisce col guidare la morale e non la morale la vita”.

Che significato ha la  Correctio Filialis?

“Come spiegano i firmatari, e io sono tra questi, si tratta di un atto di amore filiale al Pontefice e alla Chiesa e di grande reverenza per l’ininterrotta Tradizione di fede e di morale. Non si accusa il Pontefice di aver detto delle eresie, ma purtroppo di favorirne  la diffusione nella Chiesa. Se intere Conference Episcopali e singoli vescovi dicono che in ragione di Amoris laetitia i battezzati che sono sposati validamente nel sacramento del matrimonio, dopo una seconda unione civile possono accostarsi ai sacramenti della Penitenza per riceverne l’assoluzione e dell’Eucaristia per comunicare la Corpo e al Sangue del Signore, senza che nessuna parola chiara venga detta in merito, allora si diffonde nel Popolo di Dio l’eresia dottrinale che nega la necessità di essere nello stato di grazia per ricevere la Comunione e di non rimanere nella condizione di peccato per poter ricevere l’assoluzione. Il  Santo Padre non ha mai detto questo chiaramente. I critici della “Correctio” giocano sul fatto che si farebbe dire al Papa delle eresie che non ha mai detto o che si mettano in bocca a lui proposizioni denunciate, ma mai da lui proferite, quando in realtà è molto chiaro nel testo l’uso del verbo latino “sustentare”, che significa “favorire”, “appoggiare”, direttamente o indirettamente, con l’ufficio di pontefice o come maestro privato. Quello che si fa notare è che il Pontefice non ha però insegnato che Amoris laetitia non apre affatto alla comunione ai divorziati risposati senza che si sforzino di vivere secondo la Volontà di Dio come fratello e sorella (ciò che al dire di Giovanni Paolo II in Familiaris consortio è prassi fondata sulla Sacra Scrittura, ma di cui non c’è traccia in Amoris laetitia). C’è da pensare dunque che ci sia una volontà implicita di aprire a quello che molti vorrebbero e che già insegnano come ufficiale? Non si può tuttavia impostare la questione su una mera ermeneutica di Amoris laetitia: c’è in gioco non la comprensione di una frase, di una parola o di una nota a piè di pagina, ma la fedeltà alla Rivelazione di Dio così come trasmessa ininterrottamente dalla Tradizione e insegnata dal Magistero. Questa è la ragione per cui sostanzialmente si chiede al Romano Pontefice di correggere gli errori propagatisi che contraddicono la fede rivelata”

Che cosa pensa di Amoris Laetitia e ci sono rischi di interpretazioni sbagliate ed eretiche?

“Mi viene subito in mente quel «per questo non è più possibile dire che tutti coloro che si trovano in qualche situazione cosiddetta “irregolare” vivano in stato di peccato mortale, privi della grazia santificante» di Amoris laetitia 301. Perché non è più possibile dire questo? E in base a che cosa non lo si potrebbe più dire? Le ragioni che si offrono sono i “fattori” che possono limitare la capacità di decisione. Però ci si può chiedere semplicemente: il magistero precedente non si era mai preoccupato di situazioni in cui non c’è piena avvertenze e deliberato consenso nell’agire? Evidentemente in questo ultimo caso non c’è responsabilità morale. Però, si può enunciare quasi una nuova norma morale, introdotta da «un non è più possibile dire…», per insegnare di fatto che i casi irregolari (aggettivo che viene messo sempre tra virgolette, chiaramente per offrire d’ora in poi un’accezione nuova) siano casi di mancanza di responsabilità morale? Come si può presumere che un divorziato risposato, che oltretutto vorrebbe ricevere la comunione (quindi si suppone che abbia una certa dimestichezza con la sua fede) sia ignorante invincibilmente circa il suo stato? Ammesso pure che il confessore scopra un’ignoranza invincibile, come potrebbe assolvere il penitente lasciandolo in quell’ignoranza circa la gravità morale della nuova unione more uxorio? Ci si dimentica che il matrimonio ha una dimensione sociale e pubblica che non può essere ignorata. Un peccato di divorzio a cui segue un matrimonio civile non rimane solo un fatto privato, implica il bene anche degli altri e oltretutto riguarda il proprio stato di vita (naturale e soprannaturale): ciò su cui non è mai ammessa o giustificabile l’ignoranza. Come può Amoris laetitia formulare questo nuovo principio senza contravvenire a quanto insegnato da sempre nella Chiesa? Se invece si vuole portare il discorso sulle “circostanze attenuanti”, cioè situazioni di vita che abbasserebbero la responsabilità fino ad annullarla, allora bisogna ricordare che le circostanze non cambiano l’oggetto morale: le circostanze buone non rendono buono un atto cattivo e immorale. Per tale ragione non giustificano il silenzio del confessore davanti al male intrinseco dell’adulterio e della fornicazione.  Sembra che tutta la difesa di Amoris laetitia si basi, di fatto, sull’accettazione a priori di presunte circostanze o fattori attenuanti che ridurrebbero la responsabilità morale fino in qualche modo ad annullarla. Così il “caso per caso” viene issato come una sorta di legge generale dell’ignoranza e dell’irresponsabilità morale. Meglio dire invece che si può sempre dire che chi vive in un’unione more uxorio è in uno stato di peccato mortale, a meno che non rinunci all’uso di quell’unione che non è vero matrimonio”.

 La Chiesa e Lutero. Che dice Padre Lanzetta?

“E’ certamente sorprendente notare quanto fascino oggigiorno Lutero eserciti sui cattolici. Da Civiltà Cattolica al Segretario della Conferenza Episcopale Italiana fino ad arrivare ad alti prelati si odono proclami che mirano ad esaltare e a rivalutare quello che Lutero avrebbe fatto non per dividere la Chiesa, ma per riformarla. Non sarebbe stato capito o forse la desiderata riforma gli sarebbe sfuggita di mano e sarebbe stata agguantata dai prìncipi che non vedevano l’ora di liberarsi del potere di Roma. Ciò che manca in realtà è un’analisi serena e oggettiva della teologia di Lutero e soprattutto la verifica dell’influsso pernicioso del suo pensiero nei secoli successivi fino ai nostri giorni. Per essere un po’ umoristi, ma non tanto, dovremmo riconoscere che Lutero è sullodato, perché siamo diventati un po’ tutti luterani. Uno degli effetti del pensiero del Rivoluzionario tedesco che si fa sentire con forza è il tentativo anche odierno di pensare a Dio sempre riferendosi al suo contrario. Per Lutero l’onnipotenza non si apprezza che nella debolezza e nella miseria. In parole povere, la grazia non si capisce senza il peccato e con il peccato. Con Lutero, infatti, inizia il processo dialettico sistematizzato da Hegel per poter leggere la vita dello spirito come un continuo divenire attraverso il confronto-scontro tra grazia e peccato, per arrivare poi alla sintesi di una grazia che supera il peccato facendolo proprio. Cristo vince divenendo  Egli stesso un peccatore e facendosi (letteralmente) peccato: porta il peccato all’interno della divinità. Ecco perché l’uomo non può non continuare a peccare, ma è rassicurato dalla fede che gli dona la giustizia sotto forma di misericordia. La giustizia scompare ma la misericordia rimane”

Bruno Volpe

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