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Si intitola ET-ET, Ipotesi su Vittorio Messori (Con un’intervista inedita), il nuovo libro del maestro Aurelio Porfiri, edito dalla Chorabooks di Hong Kong. “Un libro – scrive l’autore nell’introduzione – che cerca di dare conto del lavoro di un “cronista” prestato all’apologetica: Vittorio Messori”, non un “libro biografico in senso stretto, ma un libro in cui, attraverso il suo lavoro di scrittore, si cerca di fare luce sul mestiere dell’apologeta, del giornalista, sull’essere cattolico a cavallo di due secoli”.

Classe 1968, Aurelio Porfiri, nativo di Roma, vive ora nella città eterna dopo aver vissuto per 7 anni a Macao, dove è stato Direttore delle Attività Corali presso la scuola Santa Rosa de Lima (sezione inglese) e Direttore delle Attività Musicali presso la scuola femminile Nostra Signora di Fatima. Grande esperto di musica corale e prolifico compositore, Porfiri è stato direttore ospite presso il Dipartimento di educazione musicale del Conservatorio di Shanghai.

Quando è nata in lei l’idea di un libro su Vittorio Messori e come ha comunicato al celebre saggista questa decisione?

«Ho intervistato Vittorio Messori per O Clarim, rivista cattolica di Macao, circa un anno fa. L’intervista era uscita bene, allora mi è venuto in mente di fare un libricino agile in cui includere l’intervista nella versione originale come conclusione del libro. Ho incontrato Messori di persona un’unica volta, mi sembra fosse marzo di quest’anno, nella Chiesa romana di Sant’Andrea delle Fratte. Gliel’ho detto in quella occasione ma era molto stanco, quindi non ne abbiamo parlato poi molto. Poi ho reiterato attraverso varie e mails e lui sulle prime ha cercato di dissuadermi. Ma la mia testardaggine ha avuto la meglio».

Quanta influenza ha avuto sulla sua vita Ipotesi su Gesù e perché?

«Posso dire un’influenza enorme. Fu un libro che mi fece vedere le cose cattoliche in una prospettiva veramente “cattolica”, non la melassa a cui siamo stati abituati negli ultimi decenni».

Quali “ipotesi” principali si sente di formulare su Messori?

«Parlo di alcune mie ipotesi sulla sua produzione intellettuale, come la sua devozione mariana, un sano revisionismo storico, l’et-et ed altri elementi del suo pensiero. Credo le mie ipotesi circoscrivano abbastanza bene alcuni dei temi forti dello scrittore emiliano».

Nel libro Porfiri spiega che «la logica del cristiano è quella dell’et-et, non quella dell’aut-aut. Il cristiano, anzi il cattolico, vuole tutto, non esclude nulla. Ma qui bisogna fare attenzione alle letture errate di questa logica, quella per cui le sintesi degli opposti si estenderebbero anche ai principi non negoziabili, alle fondamenta del pensiero cristiano (lettura che è naturalmente estranea al pensiero di Messori). La negoziazione dell’et-et è possibile perché parte da certi principi teologici, filosofici, antropologici, non è fatta malgrado o contro gli stessi. Non è una logica a servizio del mondo moderno nel senso del compiacimento dello stesso, ma una logica che si pone a rinnovamento della società in senso cristiano per un ritorno ai fondamenti», ciò «è possibile proprio a partire da quello che troviamo scritto nel Catechismo della Chiesa Cattolica, in quello che ci dicono i grandi filosofi e teologi del cattolicesimo, in quello che il magistero autentico e ininterrotto insegna; solo a partire da questo il cattolico sarà capace di inglobare tutto, in una sintesi degli opposti». Porfiri scrive che «se si esce fuori dalla logica dell’et-et rettamente inteso, si (s)cade nel calvinismo, si tradisce quel “senso comune” a cui un grande teologo cattolico contemporaneo, don Antonio Livi, ha dedicato un interessante studio». «Il cattolico alla Messori», ricorda Porfiri, «indica la verità e non nasconde che a volte non è stato all’altezza di quella verità. Il dire ad altri che il bere troppo fa male, quando si continua comunque a bere troppo, non toglie efficacia all’assunto principale di questa frase: il bere troppo fa male».

Come vive la dimensione della fede, tra Roma e Hong Kong, Aurelio Porfiri?

«Questa è una bella domanda che non ha una risposta facile. Quello che posso dire è che cerco di amare la Chiesa cercando di rimanere immune dal sistema clericale. Sono un grande peccatore ma anche nelle mie frequenti e rovinose cadute cerco di tenere sempre gli occhi fissi in alto. Non farò discorsi edificanti perché sarebbero indegni detti da uno come me ma, malgrado le mie tante indegnità, cerco sempre di vedere il fine ultimo in quello che facciamo, sopportando i pesi e gli errori di cui è disseminata la mia esistenza».

A proposito del sano revisionismo storico di Messori, nel libro Porfiri scrive che lo scrittore ha distrutto «tanti luoghi comuni intorno al cattolicesimo: l’inquisizione, le crociate, l’azione dei conquistadores, i miti del progressismo e via dicendo». In questa battaglia di riaffermazione della verità Messori «non sarà poi solo, divenendo anzi un riconosciuto caposcuola che sarà seguito da una sempre più numerosa schiera di giornalisti e studiosi». Tramite l’emotività, scrive Porfiri, «i cosiddetti buoni sentimenti, il politically correct, viene imposta una dittatura del relativismo che gli scritti di Vittorio Messori ed altri come lui, cercano di contrastare». Messori, sintetizza Porfiri, ha tentato di «smontare i miti anti cattolici, di mostrare che alcune ombre sono in realtà luci, che gli innegabili errori non possono far dimenticare le evidenti benemerenze».

Sono ben 12 le pagine del libro dedicate all’intervista con Vittorio Messori che viene riportata in italiano, dopo che era stata pubblicata dalla rivista cattolica di Macao O Clarim lo scorso anno. Tra le varie cose affermate da Messori sottolineamo: «quello che è alla base della mia conversione […] è stato un dono: il dono dello stupore. Cioè, scoprire una realtà che fino ad allora non avevo scorto: che la vita ha un significato, che è destinata a non terminare con la morte»; «il cattolicesimo è inclusivo, non espelle nulla, vuole abbracciare tutto. La legge del cattolicesimo è l’unione degli opposti, è il cercare di fare sintesi di ciò che sembra in contrasto»; «con Ipotesi su Gesù io non volevo fare un libro definitivo, un libro dove ci fosse tutto: volevo semplicemente indicare un metodo. Volevo cercare di dimostrare un paradosso: dopo aver esaminato tutte le ipotesi possibili sulla persona e sulla figura di Gesù si scopre a sorpresa che l’ipotesi più razionale e accettabile è proprio quella della fede. Tutte le altre ipotesi finiscono in un vicolo cieco da cui la ragione non può uscire. E quindi è il metodo che mi interessava (e che è valido sempre) non l’aggiornamento, che è continuo grazie agli studi»; «a me non interessa se il Papa è antipatico o simpatico, non mi interessa se è nero o bianco o rosso, non mi interessano i suoi tic, le sue manie, le sue prospettive private; mi interessa il fatto che, misteriosamente, per indicazione dello Spirito Santo, quell’uomo sia il successore di Pietro e, dunque, sia anche il vicario di Cristo in terra. […] ciò che a me interessa, ma credo dovrebbe interessare a tutti, è l’istituzione papale, il fatto che ci è stato fatto questo dono, perché il papato in una prospettiva di fede è un dono. Il resto è solo motivo di una curiosità che può anche non esserci»; «anche nel campo delle apparizioni mariane vale l’et-et: Maria è sempre la stessa nelle apparizioni e allo stesso tempo è diversa nello stile, nel messaggio e così via»; «a Lourdes, in fondo, Maria sembra mettere in guardia dal presente e dal futuro, quello delle ideologie che si stavano estendendo. A Fatima invece Maria conforta nel disastro già in corso, perché le ideologie del mondo si stavano davvero scatenando»; Ratzinger «è una delle persone più buone, più miti, più comprensive, oltre che più colte. In lui si uniscono il rigore dell’ortodossia e, nello stesso tempo, la misericordia, la tolleranza, l’apertura»; «si ha l’impressione che la gerarchia attuale faccia una reverenza solo formale allo straordinario insegnamento di Giovanni Paolo II. Pur senza dirlo, molti credono che le sue grandi encicliche siano “superate”. Si ha l’impressione che all’interno della Chiesa stessa si cerchi in qualche modo di smorzare il ricordo di quella che è stata certamente una ventata di Spirito Santo nella Chiesa»; «Cristo ci giudicherà secondo misericordia e secondo giustizia: il giudizio non può essere ingiusto, così come il giudizio non può essere spietato. Ci sarà sicuramente misericordia, ma ci sarà anche giustizia. Per fare due soli nomi tra gli infiniti possibili, anche per l’infinita misericordia del Dio di Cristo, Stalin non è come, che so?, don Bosco. L’accentuazione unilaterale di uno solo degli aspetti divini, la misericordia, porta a un cristianesimo monco che tralascia un aspetto essenziale del Vangelo: la doverosa severità del Cristo, pur accanto alla sua commovente tenerezza. Le terribili (seppure bellissime) parole del Dies Irae sono squilibrate da una parte, dimenticando l’altra parte. Ma non possiamo, per reazione, immaginare il Giudice celeste come il vecchio zio che l’età ha reso sentimentale se non rammollito e che è pronto a perdonare tutto, ma proprio tutto, ai nipotini, anche quelli riottosi sino all’ultimo»; «vorrei morire “bene”, nel senso evangelico. […] mi preparo a passare dall’altra parte. […]Ci sono ottuagenari – in politica, nella cultura, nell’economia – che enunciano progetti per il futuro. Mi preparo io pure al futuro, ma a quello con la F maiuscola. Quello che non terminerà mai. Naturalmente, finché mi sarà concessa abbastanza forza e un po’ di salute, farò il mio dovere: cercherò di completare un paio di libri che sono in gestazione da molti anni, vorrei pubblicarli anche per non deludere tanti lettori cui, forse imprudentemente, li ho promessi. Lascio ad altri il giocare a fare i giovanilisti, sforzandosi di rimuovere quell’anagrafe che in realtà è implacabile […] Oggi si fanno grandi preparativi per un qualunque viaggio turistico e ci si dimentica di prepararsi per il Viaggio per eccellenza, quello che ha per meta nientemeno che l’eternità. […] Prego perché mi sia data la possibilità di morire in modo tale che giustizia e misericordia, confrontandosi nel giudizio di Cristo, mi concedano almeno un posticino in qualche anfratto del purgatorio. Da evitare a ogni costo è ciò che la Madonna di Fatima ha mostrato ai tre pastorelli, quella realtà terribile che è la dannazione eterna. D’altro canto, per me, da buon convertito, la fede è questa: è la salvezza eterna; è aver sempre presente che questa vita è soltanto una preparazione alla Vita su cui non c’è tramonto. Adesso che sono vicino al transito, cerco di aumentare l’impegno per prepararmi non dico nel modo migliore (solo i santi sanno farlo e io, ahimé, sono ben lontano da esserlo!) ma in modo tale da non essere escluso in modo definitivo dalla vicinanza a quel Cristo di cui tanto ho scritto. Ma scriverne o parlarne non basta certo per ottenere la password per il Cielo. È Egli stesso che ammonisce: “Non chi dice Signore, Signore entrerà nel Regno dei Cieli, ma colui che avrà fatto la volontà del Padre”. Non dimentico, poi, che sono proprio quelli come me i più a rischio: “Chi ben conosceva la mia volontà e non l’ha fatta sarà molto battuto”. E io, questa volontà l’ho conosciuta bene, passando la vita ad esaminare le Scritture […] la più alta delle “opere di carità” è il suffragio per i defunti, questo aspetto centrale della splendida realtà che la Tradizione chiama “la comunione dei Santi”. I vivi aiutano i morti ricordandoli alla misericordia divina e i morti intercedono presso Dio per i vivi».

Matteo Orlando

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