Come si vede, questo canto può essere ripetuto tante volte quanto necessario e si conclude sempre con l’ultima invocazione. Nulla toglie che il canto possa essere eseguito dalla sola schola in polifonia, o in un misto di polifonia e gregoriano o polifonia e risposta del popolo. A volte si ha l’impressione che questo momento sia banalizzato dalla sua semplice recitazione o dal canto sciatto di formule trite e ritrite.
Esiste sempre il problema della versione in italiano che non è fedele all’origjnale latino. Così rispondeva su Famiglia Cristiana il liturgista Silvano Sirboni: “Il canto dell’Agnello di Dio è stato inserito nella Messa dal papa Sergio I (687-701) sul modello delle liturgie orientali che da tempo accompagnavano la frazione del pane con canti che evocavano la passione e la morte di Gesù. In essi si faceva sovente riferimento all’agnello, immagine del corpo di Cristo offerto per tutti sulla croce. Le parole di questo canto sono quelle con le quali Giovanni Battista indica Gesù (cfr. Gv 1, 29). Sia nel testo greco sia in quello latino il verbo usato significa togliere così come portare su di sé. Una ricca e legittima ambiguità che non poteva essere riprodotta anche in italiano. Si è così preferito mantenere l’interpretazione precedente sia per quanto riguarda il testo biblico sia quello liturgico, come del resto anche in altre lingue. Si è voluto evidenziare l’effetto del sacrificio di Cristo su di noi”. Insomma, si è fatta una scelta ma tenendo presente che il signficato di “tollis” ha più dimensioni che semplicemente “togliere”.
Alcuni hanno l’uso di continuare il suono dell’organo dopo l’Agnello di Dio per congiungerlo alla comunione mentre il sacerdote recita l’Ecce Agnus Dei. Personalmente non vedrei del male in questo uso ma l’OGMR prescrive che all’inizio della comunione si preghi in silenzio.
Aurelio Porfiri
Per quanto riguarda l’ultimo capoverso, oltre che per pregare in silenzio subito prima della comunione, è comunque errato continuare a suonare dopo l’Agnello di Dio, poiché a quel punto il sacerdote pronunzia le parole “Beati gli invitati…” e il suono dell’organo non deve coprirle, né fare da sottofondo.