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Chiese e concerti, al tempo del Coronavirus, vivono una crisi comune, che coinvolge in egual misura gli aspetti sociali, aggregativi ed economici dei due comparti, mettendo a dura prova fede e amore per la musica.

Come ha fatto rilevare in questi giorni alle principali agenzie di stampa italiane Maurizio Scandurra, giornalista cattolico, saggista e critico musicale, in questo interessante parallelismo approfondito specificamente per il nostro sito

Buongiorno: quali i punti di convergenza tra questi due settori?

«Per entrambi è necessario prevedere per tempo, con l’aggravarsi della situazione in corso, nuove forme di quello che amo definire ‘assembramento intelligente’».

In che modo?

«Chiese, basiliche e cattedrali, edifici spesso collaudati per capienze superiori al migliaio di occupanti, potrebbero benissimo nella stagione fredda trasformarsi in spazi per concerti, evitando causa prescrizioni il taglio dei posti nei teatri, con platee e gallerie ridotte al lumicino. E al cui interno, dato il contesto attuale, non si respira più per nulla l’atmosfera assembleare e gioiosa di un evento musicale, con poco pubblico presente e iper distanziato».

Una proposta senza dubbio originale.

«Più che altro, un’idea concreta per rispondere efficacemente a comuni criticità. Anche San Giovanni Bosco ripeteva spesso ai ragazzi dell’oratorio che ‘Una casa senza musica è come un corpo senz’anima’. Altrettanto affermava al suo tempo anche Cicerone».

Approfondiamo.

«Meno fedeli alle funzioni significa meno queste, e meno offerte fanno vacillare i bilanci parrocchiali già privati dal lockdown, con l’aggravante del riscaldamento nei mesi freddi. E, quindi, minori risorse da destinare all’assistenza di poveri, indigenti e malati. Idem per gli spettacoli degli artisti: meno spettatori, meno incassi, più crisi occupazionale e reddituale per gli addetti ai lavori della musica. Ma c’è di più».

In che senso?

«L’accesso ristretto ai luoghi di culto rischia di escludere dalle celebrazioni eucaristiche anche persone più fragili e sole che, in questo momento di smarrimento comune, potrebbero diventare facile preda di nuove forme di preghiera fai-da te. Mentre il Cristianesimo si fonda e si sostanzia sulla vita sacramentale, sua anima fondamentale e cuore pulsante».

Quali, invece, le conseguenze negative per gli eventi musicali?

«Meno giovani ai concerti, stanti le possibili restrizioni d’orario per le chiusure anticipate di bar, pub, ristoranti e locali vari vuol dire consegnare molti fra loro a forme accentuate di dipendenza da smartphone, ludopatie da web e social. Lasciando così campo libero all’horror vacui e al richiamo facile di ‘religiosità’ altre e alternative quali esoterismo, new age, yoga e sette. C’è bisogno di esempi forti come quello del Beato Carlo Acutis, moderno testimone modello della Fede che impiegò la rete per diffondere i valori del Vangelo».

Dunque, come uscirne?

«Ospitare concerti pop di noti artisti italiani in chiesa, previo il rispetto assoluto di decoro e buongusto nella scelta dei repertori delle canzoni, significa garantire continuità a un settore che ha perso rovinosamente un intero anno di lavoro. E al contempo fornire così alle parrocchie, per l’affitto dei locali, nuove forme di introito con cui potenziare servizi caritatevoli ora più che mai essenziali quali mense dei poveri, tavole sociali e pacchi-famiglia. Con in più altri importanti risvolti».

Del tipo?

«Grazie ai concerti in chiesa si offre comunque a tutti indistintamente l’opportunità di vivere un’esperienza profonda a contatto con il Sacro. Lasciarsi pervadere dall’immenso fascino dell’arte iconografica cristiana, specchio di una Bellezza Superiore che parla dritta al cuore dell’uomo, nel silenzio e nell’intimo di ciascuno. Contribuendo altresì a fargli ritrovare sul proprio cammino il vero senso di Dio».

Quale, secondo Lei, il ruolo della fede in questa pandemia?

«In un momento straordinario della storia dell’umanità, anche la fede deve esserlo altrettanto. Farla uscire dalle chiese, implorando con fiducia ascolto e aiuto dal Cielo senza avere paura come in passato, quando grandi grazie ottenute provenivano da gesti di autentica devozione capaci di commuovere il cuore di Dio. E poi più adorazione eucaristica, con la benedizione del Santissimo al termine della Santa Messa può contribuire a restituire al mondo attuale l’attenzione viva all’imprescindibile centralità del sacrificio di Cristo per il bene e la salvezza comuni».

Boris Bianchi

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