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La teologa Giuliva Di Berardino* commenta (in versione testuale e audio) il Vangelo del giorno.

Ecco l’audio

Ecco il testo

IL VANGELO DEL GIORNO: giovedì 21 marzo 2019

l protagonisti della parabola che Gesù ci racconta oggi sono un povero e un ricco. Il povero ha un nome, si chiama Lazzaro, che significa “colui che è assistito da Dio“. Il ricco invece è senza nome. Perché? Perché solo il povero, nel Vangelo, ha un’identità e una missione, quella di ricordarci che nessuno è abbandonato da Dio. Anzi! più si è poveri, più si è assistiti da Dio. Ora, Gesù si sofferma sulla descrizione di Lazzaro: egli sta alla porta del palazzo del ricco, senza chiedere nulla, abbandonato, gettato a terra, senza che nessuno lo guardi o si accorga di lui. Solo i cani randagi, che a questo punto arrivano ad essere più umani degli esseri umani, gli passano accanto e gli leccano le ferite. Ci accorgiamo subito che si tratta di una situazione di un’umanità disperata, arrivata al limite, ma che ci sconvolge e ci fa interrogare: quante volte riduciamo le persone a uno stato tale? Quante volte non ci decidiamo a essere davvero umani e lasciamo fare agli animali quello che dovremmo fare noi?  Cosa ci offusca a tal punto la mente e il cuore? Oggi il vangelo ci offre un’opportunità annunciandoci che la nostra coscienza può mettere un limite alla disperazione umana. Sì, perché Gesù ci dice che, se pure siamo in una situazione di sofferenza irreparabile, ma restiamo nella fede, verrà un giorno, forse dopo la morte, come in questa parabola, ma ci sarà, in cui vivremo una nuova situazione. E Lazzaro è un esempio di questa speranza che ci è annunciata: in tutta la sua esistenza egli è stato assistito da Dio e solo da Lui! Per questo Dio continuerà ad assisterlo anche nella vita eterna. Il ricco, invece (che il Vangelo lascia senza nome perché potremmo essere proprio io e te) sarà escluso dal rapporto con Dio, perché per tutta la sua esistenza non ha neppure riconosciuto quell’uomo piagato e povero che stava davanti la porta della sua casa. Lasciamoci oggi interrogare da queste parole di Gesù! Non si tratta di fare l’elemosina ai poveri, ma molto di più! Si tratta di salvare noi stessi, riconoscendo il povero, vedendolo come un fratello, sentendoci responsabili tra noi. Ma la salvezza che i poveri ci offrono resta impossibile se in noi non c’è un cambiamento, una specie di folgorazione che ci faccia avvertire un principio di vita nuova nel profondo. Chiediamo allo Spirito Santo oggi che questo avvenga, che il nostro cuore venga folgorato dal povero che ci vive accanto, perché da questo dipende la nostra felicità eterna!
Buona giornata!

Lc 16, 19-31

In quel tempo, Gesù disse ai farisei: «C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe. Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”. Ma Abramo rispose: “Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”. E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”».

* Giuliva Di Berardino è insegnante di Religione Cattolica nella scuola pubblica. Laureata in Lettere Classiche a Roma, ha poi conseguito il Baccellierato in teologia presso la Pontificia Università Antonianum di Roma e la Licenza in teologia liturgica presso l’Istituto di Liturgia Pastorale di Padova. Attualmente è dottoranda nello stesso Istituto. Consacrata nell’Ordo Virginum della diocesi di Verona, mette a servizio della Chiesa la sua esperienza nella danza biblica e nella preghiera giudaico-cristiana guidando laboratori di danza e preghiera, dedicandosi all’evangelizzazione di strada e all’accompagnamento dei giovani. In seguito ai diversi interventi sulla teologia del corpo e della danza e ai numerosi laboratori svolti in Italia e in Europa, di recente ha pubblicato il libro “Danzare la Misericordia”, ed. dell’Immacolata, in cui descrive una vera e propria spiritualità della danza di lode, a partire dalla Bibbia. E’ anche pedagogista del movimento e guida di esercizi spirituali per giovani, religiosi e laici. E’ autrice di un blog dal titolo “Teologia e danza, Liturgia e vita” in cui condivide ogni giorno la meditazione del Vangelo nella rubrica “La Parola danza la vita”.
Per contattare la teologa Di Berardino scrivere a: giuliva.diberardino@gmail.com

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