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La Fede Quotidiana ospita il breve commento del giovane teologo Matteo Orlando* alle liturgie (Liturgia delle Ore e Liturgia della Parola) di venerdì 16 Febbraio 2018.

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Nel primo venerdì dopo le Ceneri, nei primi passi del nostro cammino penitenziale, la Chiesa ci invita a seguire l’austero cammino della santa Quaresima perché all’osservanza esteriore corrisponda un profondo rinnovamento dello spirito. La frugale mensa di oggi, che non prevede l’utilizzo della carne, ci spinge a ricercare una lingua ed un cuore sobri per ascoltare la voce dello Spirito.

Nella Prima Lettura (Is 58,1-9), il profeta Isaia ci invita a riconoscere le doppiezze e le contraddizioni della nostra condotta morale, tale perché la nostra coscienza pigra è intorpidita dal peccato. Il Signore, dice Isaia, vuole un digiuno che sciolga dalle catene inique, che tolga i legami del giogo, che rimandi liberi gli oppressi e spezzi ogni giogo, un digiuno che consiste nel dividere il pane con l’affamato, nell’introdurre in casa i miseri, i senza tetto e nel vestire gli ignudi.

Nel Santo Vangelo (secondo Matteo, 9,14-15), ci viene ricordato che il digiuno è paragonabile all’attesa dello sposo e ci prepara a testimoniare più concretamente la fede e l’amore. Dice Gesù: «Possono forse gli invitati a nozze essere in lutto finché lo sposo è con loro? Ma verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto, e allora digiuneranno».

Dall’«Omelia 6» del santo vescovo Giovanni Crisostomo, scopriamo che la preghiera è luce per l’anima. Il “dialogo con Dio è un bene sommo. È, infatti, una comunione intima con Dio. Come gli occhi del corpo vedendo la luce ne sono rischiarati, così anche l’anima che è tesa verso Dio viene illuminata dalla luce ineffabile della preghiera. Deve essere, però, una preghiera non fatta per abitudine ma che proceda dal cuore. Non deve essere circoscritta a determinati tempi od ore, ma fiorire continuamente, notte e giorno. Non bisogna infatti innalzare il nostro animo a Dio solamente quando attendiamo con tutto lo spirito alla preghiera. Occorre che, anche quando siamo occupati in altre faccende, sia nella cura verso i poveri, sia nelle altre attività, impreziosite magari dalla generosità verso il prossimo, abbiamo il desiderio e il ricordo di Dio, perché, insaporito dall’amore divino, come da sale, tutto diventi cibo gustosissimo al Signore dell’universo. Possiamo godere continuamente di questo vantaggio, anzi per tutta la vita, se a questo tipo di preghiera dedichiamo il più possibile del nostro tempo. La preghiera è luce dell’anima, vera conoscenza di Dio, mediatrice tra Dio e l’uomo”.

È quello che hanno fatto i beati e i santi che la Chiesa ricorda questo 16 Febbraio: il beato Giuseppe Allamano che fu rettore del santuario più caro ai torinesi, la Consolata e fondatore dei Missionari della Consolata; santa Giuliana di Nicomedia, vergine e martire; san Panfilo e compagni, martiri di Cesarea di Palestina; san Maruta vescovo; l’abate sant’Archinrico di Montmajour; il vescovo san Simeone di Metz; il beato Luigi Antonio Ormières; la beata Filippa Mareri, vergine; il beato domenicano Nicola Paglia; il beato Mariano Arciero.

*Matteo Orlando, laurea in Giurisprudenza e Licenza in Teologia Spirituale, è giornalista pubblicista e autore dei volumi Faithbook: La fede cattolica nel tempo dei conigli e Sotto attacco: La scure di revisionisti e censori sui beati e i santi.

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