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La Fede Quotidiana ospita il breve commento del giovane teologo Matteo Orlando* alle liturgie (Liturgia delle Ore e Liturgia della Parola) di oggi, 1° Marzo 2018.

In questo Giovedì della II settimana di Quaresima la liturgia: – ci mette in guardia dal tragico inganno di chi confida solo in se stesso e nei suoi beni; – denuncia il peccato personale e sociale dell’egoismo; – ricorda la maledizione che incombe sull’uomo che confida in se stesso e che chiude il proprio cuore alle persone indifese e abbandonate.

La parabola evangelica presentataci oggi (Lc 16,19-31) ci insegna l’ideale evangelico della fraternità e solidarietà. Dice Gesù ai farisei (cioè a noi): «C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe. Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”. Ma Abramo rispose: “Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”. E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”».

Nella seconda lettura dell’Ufficio delle letture il santo vescovo Ilario, commentando il Salmo 127, ci ricorda che attraverso vari gradi si arriva al timore del Signore: «Chiesto il dono della sapienza si deve affidare tutto il compito dell’approfondimento al dono dell’intelletto, con il quale ricercare e investigare la sapienza. Solo allora si potrà comprendere il timore del Signore. […] si impara il timore del Signore, perché viene insegnato. Questo genere di timore non sta nello spavento naturale e spontaneo, ma in una realtà che viene comunicata come una dottrina. Non promana dalla trepidazione della natura, ma lo si comincia ad apprendere con l’osservanza dei comandamenti, con le opere di una vita innocente, e con la conoscenza della verità. Per conto nostro il timore di Dio è tutto nell’amore, e l’amore perfetto perfeziona questo timore. Il compito proprio del nostro amore verso Dio è di ascoltarne gli ammonimenti, obbedire ai suoi comandamenti, fidarsi delle sue promesse. […] vi sono vie nella legge, vie nei profeti, vie nei vangeli, vie negli apostoli, vie anche nelle diverse opere dei maestri. Beati coloro che camminano in esse col timore di Dio».

Come hanno fatto i beati (Gonzalo de Ubeda, Giovanna Maria Bonomo, Giorgio di Biandrate, Cristoforo da Milano) e i santi (David del Galles, Leoluca di Corleone, Pietro Ernandez, Silvio e compagni martiri venerati ad Anversa, Suitberto di Kaiserswerth, evangelizzatore della Frisia, Albino di Angers, Siviardo, Leone di Bayonne, Rudesindo, Agnese Cao Kuiying, Albino di Vercelli, Bono di Cagliari, Eudossia di Eliopoli, Felice Papa, Bertrando, Domnina di Siria) che ricordiamo oggi, primo Marzo.

 

*Matteo Orlando, laurea in Giurisprudenza e Licenza in Teologia Spirituale, è giornalista pubblicista e autore dei volumi Faithbook: La fede cattolica nel tempo dei conigli e Sotto attacco: La scure di revisionisti e censori sui beati e i santi.

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