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“I pellegrini fanno parte della nostra comunità e ne abbiamo bisogno, prima di tutto perché abbiamo bisogno di respirare con due polmoni: pellegrini e i locali. Abbiamo bisogno inoltre dell’abbraccio della Chiesa Universale alla nostra Chiesa ma anche abbiamo bisogno della solidarietà e della presenza dei pellegrini qui. Spero che i pellegrini tornino presto a godere della bellezza e della meravigliosa esperienza del pellegrinaggio in Terra Santa”. Così il patriarca di Gerusalemme dei Latini, Pierbattista Pizzaballa, commenta i primi ritorni dei pellegrini in Terra Santa grazie al programma pilota lanciato dal ministero del Turismo israeliano, ultimamente ampliato per permettere l’arrivo di più gruppi organizzati, per un numero complessivo di 1.000 visitatori.

Sono venti, riferisce il Christian Media center della Custodia di Terra Santa, i gruppi fino ad ora entrati in Terra Santa dopo che la pandemia di Coronavirus ha rallentato la sua corsa e la vita è tornata alla normalità. “Si riaccende la speranza – afferma Rony Tabash, proprietario di un negozio di souvenir religiosi vicino alla Natività di Betlemme – abbiamo visto la luce in fondo al tunnel quando abbiamo sentito e visto il primo gruppo di pellegrini venire dall’estero a Betlemme. Incoraggiamo le persone di tutto il mondo a venire a visitare la Grotta della Natività, la Grotta di Nostro Signore Gesù Cristo. Noi siamo qui e siamo fiduciosi di poter accogliere tutti presto”.

Raua’i Carmel, aspirante guida turistica è a Gerusalemme per valutare la situazione attuale prima del ritorno dei turisti: “Siamo contenti che la pandemia di Coronavirus e il caos almeno qui siano finiti e siamo così contenti di poterci muovere e fare escursioni senza mascherine. Questa è la Basilica del Santo Sepolcro: si comincia a vedere gente anche qui; significa che il turismo sta ripartendo”. Si muovono anche i pellegrini italiani: i primi sette, come riferisce Terrasanta.net, sono arrivati da Napoli il 19 giugno scorso, accompagnati da padre Carlos Molina, direttore di Casanova a Nazareth. Il gruppo il 24 giugno ha partecipato alla messa in una basilica del Santo Sepolcro, ancora vuota di gente. I pellegrinaggi sono limitati alle città situate in Israele.A causa della mancata autorizzazione dei ministeri dell’Interno e della Salute,  i pellegrini italiani non hanno potuto recarsi a Gerico, Betania o Emmaus el-Qubeibeh, città palestinesi dove la popolazione è meno vaccinata. Unica eccezione Betlemme.  Qui i pellegrini possono visitare la Basilica della Natività. Per entrare in Israele è necessario essere vaccinati e sottoporsi a due test Pcr: uno prima della partenza e uno all’arrivo in aeroporto a Tel Aviv, oltre a un test sierologico. Inizialmente prevista per il 1° luglio, l’apertura delle frontiere ai viaggiatori individuali è stata posticipata al 1° agosto dal governo israeliano preoccupato per la recrudescenza dell’epidemia nel Paese, a causa della variante Delta e del mancato rispetto delle quarantene. Al 23 giugno, il Paese aveva 146 nuovi casi positivi, il più grande aumento giornaliero che si sia verificato da maggio. La maggior parte di loro (122 per la precisione) si trova a Binyamina, una cittadina del nord vicino ad Haifa, dove l’epidemia si è diffusa a partire da una scuola. Più di mille persone sono state messe in quarantena, in un comune che conta 15mila abitanti. Il governo sta valutando il ritorno all’uso delle mascherine nei luoghi chiusi, misura che era stata revocata il 15 giugno. (SIR)

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