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Libero Milone il 9 maggio 2015 era stato nominato da papa Francesco revisore generale con il compito di analizzare i bilanci e i conti della Santa Sede e delle amministrazioni collegate. Lo scorso 19 giugno 2017 aveva presentato le dimissioni al Pontefice che le ha accettate. Oggi Milone rivela di non essersi dimesso volontariamente e lo fa scatenando una grande eco mediatica.

«Parlo solo ora perché volevo vedere cosa sarebbe successo dopo le mie dimissioni del 19 giugno. In questi tre mesi dal Vaticano sono filtrate notizie offensive per la mia reputazione e la mia professionalità. Non potevo più permettere che un piccolo gruppo di potere esponesse la mia persona per i suoi loschi giochi. Mi spiace molto per il Papa. Con lui ho avuto un rapporto splendido, indescrivibile, ma nell’ultimo anno e mezzo mi hanno impedito di vederlo. Evidentemente non volevano che gli riferissi alcune cose che avevo visto. Volevo fare del bene alla Chiesa, riformarla come mi era stato chiesto. Non me l’hanno consentito…», denuncia  Milone (VEDI QUI). «Continuerò a rispettare l’impegno di riservatezza sul lavoro istituzionale svolto per la Santa Sede, secondo gli accordi sottoscritti. Ma non posso far passare sotto silenzio il modo in cui sono stato trattato. Voglio essere chiaro: non mi sono dimesso volontariamente. Sono stato minacciato di arresto. Il capo della Gendarmeria mi ha intimidito per costringermi a firmare una lettera che avevano già pronta…». «Noto che le indagini sul card. Pell, per un caso di quarant’anni fa, sono affiorate circa un anno fa. E, si legge nel decreto consegnatomi, nello stesso periodo la Gendarmeria ha cominciato a indagare su di me. Voglio credere che sia una coincidenza. Ultimamente lavoravamo a un nuovo codice sugli appalti», spiega Milone.

«Il 19 giugno fui ricevuto dal sostituto alla segreteria di Stato, monsignor Becciu, per parlargli del contratto dei miei dipendenti. E invece mi sentii dire che il rapporto di fiducia col Papa si era incrinato: il Santo Padre chiedeva le mie dimissioni. Ne domandai i motivi, e me ne fornì alcuni che mi parvero incredibili. Risposi che le accuse erano false e costruite per ingannare sia lui che Francesco; e che comunque ne avrei parlato col Papa. Ma la risposta fu che non era possibile. Becciu mi disse invece di andare alla Gendarmeria […] e notai subito un comportamento aggressivo. Ricordo che a un certo punto il comandante Giandomenico Giani mi urlò in faccia che dovevo ammettere tutto, confessare. Ma confessare che cosa? Non avevo fatto nulla […] Bloccarono tutti dentro gli uffici, comprese le segretarie, fino alle 8.30 di sera. E ci intimarono di consegnare tutti i documenti. Uno dei vice-revisori era assente. E furono chiamati i pompieri del Vaticano per forzare armadio e scrivania».

In merito all’accusa spiega Milone: «Mi hanno mostrato due fatture intestate a un unico fornitore, e accusato di avere compiuto una distrazione di fondi: dunque un peculato, come pubblico ufficiale. Vidi che su entrambe le fatture c’era il timbro del mio ufficio, ma solo una era firmata da me. L’altro aveva come firma uno scarabocchio. Mi chiesi chi l’avesse timbrata e pagata, e a chi […] una delle due era falsa. Erano conti per indagini ambientali, per 28 mila euro, per ripulire gli uffici da eventuali microspie. In più, il decreto del tribunale parlava solo delle mie competenze contabili, senza citare i controlli sull’antiriciclaggio e la lotta alla corruzione, contenute nello statuto. E con questo mi hanno accusato anche di avere cercato informazioni impropriamente su esponenti vaticani. Scoprii che indagavano da oltre 7 mesi su di me. Hanno sequestrato documenti ufficiali protocollati e coperti dal segreto di Stato».

«Se il vostro obiettivo è farmi dimettere, mi dimetto. Vado a preparare la lettera, dissi», ricorda Milone. «Risposero che era già pronta. L’andarono a prendere. La lessi e dissi: questa non la firmo. Perché era il 19 giugno ma la lettera era datata 12 maggio».
«Portarono via tutto, anche il mio telefonino e l’iPad […] Me li restituirono una settimana dopo, con lettera sigillata, firmata non dal tribunale ma da monsignor Becciu». «A metà luglio ho scritto al Papa attraverso un canale sicuro e credo abbia avuto la lettera. Spiegavo che ero vittima di una montatura, e meravigliato dell’uscita contemporanea di Pell. Nessuna replica […] il suo silenzio totale me lo spiego o col fatto che non gli hanno consentito di parlare con me, o con altre ragioni che non conosco».
«Credo che il Papa sia una grande persona, e era partito con le migliori intenzioni. Ma temo sia stato bloccato dal vecchio potere che è ancora tutto lì […] Il Papa mi aveva chiesto di promuovere la trasparenza, e ho cercato di farlo per rispettare la volontà dei fedeli e dei donatori. Ma ho deciso di rimediare almeno a tutte le cose a vanvera fatte uscire sul mio conto».

“La Santa Sede prende atto con sorpresa e rammarico delle dichiarazioni rilasciate da Libero Milone, già Revisore Generale. In questo modo egli è venuto meno all’accordo di tenere riservati i motivi delle sue dimissioni dall’Ufficio. Si ricorda che, in base agli Statuti, il compito del Revisore Generale è quello di analizzare i bilanci e i conti della Santa Sede e delle amministrazioni collegate. Risulta purtroppo che l’Ufficio diretto da Milone, esulando dalle sue competenze, ha incaricato illegalmente una Società esterna per svolgere attività investigative sulla vita privata di esponenti della Santa Sede”. E’ quanto afferma la Sala stampa vaticana dopo le dichiarazioni dell’ex primo Revisore generale dei conti vaticani. “Questo, oltre a costituire un reato – riferisce la nota -, ha irrimediabilmente incrinato la fiducia riposta nel Dott. Milone, il quale, messo davanti alle sue responsabilità, ha accettato liberamente di rassegnare le dimissioni. Si assicura, infine, che le indagini sono state condotte con ogni scrupolo e nel rispetto della persona”.

ADAM L. OTTER

 

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