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L’arcivescovo della diocesi di Reggio Calabria-Bova, monsignor Giuseppe Morosini, in una recente intervista rilasciata per “L’Avvenire di Calabria”, ha stimolato un’interessante riflessione sull’impegno dei laici in politica (clicca qui).

La questione sollevata è di grande attualità ed un ruolo incisivo nella politica locale e nazionale da parte dei cattolici sembra in effetti mancare ormai da tempo nonostante la tradizione culturale di un’Italia che – parafrasando il filosofo laico Benedetto Croce – non può non definirsi cristiana, e nonostante i cattolici rappresentino una parte molto attiva della società, soprattutto nel terzo settore.

Questo impegno nel sociale, con ricadute positive su tutta la collettività, sancisce di per sé il diritto di rappresentatività e chiude ogni polemica da parte di quelle correnti laiciste sempre più incalzanti e che vorrebbero una chiesa silenziosamente confinata nella sfera privata. 

Eppure, come più volte evidenziato dal menzionato vescovo durante i suoi interventi, viviamo una società che nel corso degli ultimi decenni ha subito profonde trasformazioni tanto da cambiare radicalmente il suo volto fino a scristianizzarsi.

Questo processo che è stato prima economico, poi culturale ed infine antropologico, ha portato alla nascita di quella “società dei consumi” intravista e denunciata da un insospettabile Pier Paolo Pasolini. È in questo nuovo contesto che i cattolici, ormai minoritari, devono confrontarsi e operare in senso creativo per riuscire ad essere influenti. Come?

La prima tentazione è di ricreare una casa comune, ovvero un partito che raccolga tutto il mondo cattolico. Questa ipotesi, però, sembra un azzardo antistorico anche molto rischioso poiché, in un contesto scristianizzato, il partito dei cattolici rischierebbe di marginalizzarli ancora di più.

Scartata questa ipotesi, si presenta subito un’alternativa, ovvero quella di “contaminare” i vari luoghi politici e che non necessariamente corrispondono ai partiti attuali o possibili. La “dispersione” dei cattolici, in questo senso, non va affatto vista come un limite ma piuttosto come una possibilità per poter fecondare più diffusamente la società con i semi dei principi della dottrina sociale della Chiesa, ovvero partecipazione, sussidiarietà e solidarietà.

Se la diaspora, quindi, può rappresentare un’opportunità, bisogna constatare le difficoltà nel risultare realmente incisivi a causa di un forte smarrimento identitario. Negli anni la formazione socio-politica all’interno di parrocchie ed associazioni è stata trascurata; a questo disimpegno bisogna affiancare ultimamente una presenza schiacciata esclusivamente su alcune tematiche tralasciandone altre.

Questo atteggiamento, che qualcuno ha definito di «pigrizia intellettuale che porta all’ideologia», sembra contribuire a generare confusione e soprattutto divisione perché lascia intendere che alcune tematiche possano essere di destra ed altre di sinistra quasi come se solo uno schieramento, piuttosto che altri, possano quanto meno ospitare una rappresentanza cattolica. Così non è, né può essere: lo Spirito «non sai di dove viene e dove va» ed il peccato originale è presente in ogni uomo ed in ogni donna a prescindere se questi sia un sovranista, un moderato, un populista o un progressista.

Giusto per fare un esempio, mentre c’è una evidente sovraesposizione, a volte anche acritica, sul tema dell’accoglienza ai migranti, il mondo cattolico sembra essere completamente assente sul dibattito attualissimo delle autonomie. Questo crea una percezione distorta lasciando credere che l’accoglienza sia un tema cattolico abbracciato dalla “sinistra”, mentre quello delle autonomie un tema di “destra” semplicemente da respingere. Eppure sulle autonomie i cattolici potrebbero dare un importante contributo in virtù della propria cultura politica che fa della sussidiarietà uno dei suoi cardini. Questo atteggiamento di evidente parzialità toglie incisività ai cattolici perché li rende strumentali e facilmente strumentalizzabili.

Il cattolico non può essere di destra né di sinistra perché per definizione è universale!, unico discrimine vincolante dovrebbe essere il rispetto dei valori non negoziabili: difesa della vita dal concepimento fino alla morte naturale, tutela della famiglia naturale e difesa della libertà educativa. E se i fedeli possono disperdersi esprimendo una pluralità relativa alle modalità di applicazione dei principi sociali della Chiesa a seconda delle proprie vocazioni e sensibilità, non possono dividersi sui valori per seguire logiche di schieramento piuttosto che mirare alla costruzione del bene comune.

Giorgio Arconte

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