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Quando si parla della relazione tra i Savoia e la Chiesa, si pensa subito ai travagliati rapporti intercorsi durante il Risorgimento. Eppure nei secoli precedenti c’è tutta una parte di storia sconosciuta ai più, in cui il legame tra Roma e la dinastia sabauda era molto stretto e amichevole. Ad approfondire il tema ci ha pensato Cristina Siccardi, stimata storica e giornalista, che da trent’anni studia il passato dei Savoia. Il risultato delle sue ricerche sulla casata sono stati sei libri, l’ultimo dei quali uscito da poco per l’editrice Sugarco con il titolo Casa Savoia e la Chiesa. Una grande, millenaria Storia Europea. Con documenti inediti e un intervento di Re Simeone II di Bulgaria.

Cosa intende mettere in luce di nuovo la sua opera?

Per la prima volta, in maniera organica e sistematica, si sono affrontati gli strettissimi legami, fin dalla fondazione del casato, che hanno unito i Savoia alla Chiesa di Roma, non solo per mere e strumentali questioni politiche, ma anche e soprattutto per una fede cattolica vissuta quotidianamente e trasmessa alla gente. Basti pensare che, a differenza di altre famiglie gentilizie, per esempio i Medici di Firenze, essi non hanno cercato la carriera curiale di Roma. Conti e contesse, duchi e duchesse, sovrani e sovrane praticavano il loro credo in maniera solida, tanto che, come è accaduto per la maggior parte di loro, cercavano non solo di coltivare la propria spiritualità, ma, consci dei propri peccati, di perfezionarla sotto la guida di confessori e direttori. Non è certo un caso che ci troviamo di fronte ad una Casa regnante con il maggior numero di uomini e donne che la Chiesa ha innalzato all’onore degli altari, dichiarandoli anche servi di Dio e venerabili, oltre a tutti coloro che sono morti in concetto di santità e la cui documentazione giace o nelle curie diocesane o alla Congregazione delle cause dei Santi.

Lei ha scritto che l’Europa cristiana deve molto alla dinastia sabauda: in che senso?

L’Unione Europea ha omesso, nella sua Costituzione, le sue radici cristiane, che vengono cancellate o deformate sui libri di testo scolastici: i valori cristiani, oggi come oggi, vengono con ostracismo considerati ostili al progresso e alla democraticità, quando, invece, come dimostra proprio la Storia, là dove si seminò il Vangelo, arrivò sempre lo sviluppo delle diverse discipline, delle arti umane, del lavoro, dell’assistenza, dell’educazione, delle condizioni di vita, del senso del dovere di fronte a Dio e agli uomini, del valore dato al rispetto per il prossimo, portando, quindi, la grande Civiltà cristiana.

Alle bellezze lasciate ovunque da quella prodigiosa e impareggiabile cultura cristiana, che ha fatto sorgere castelli, palazzi, biblioteche, gallerie, abbazie, cattedrali, chiese, monasteri di una straordinaria bellezza, hanno contribuito grandemente i Savoia, visto che, attraverso le alleanze matrimoniali, sono arrivati ovunque nel continente. Inoltre, l’Europa deve molto al casato sabaudo anche per quanto riguarda la difesa dei suoi confini. Da questo punto di vista il celeberrimo principe condottiero Eugenio di Savoia-Soissons è una figura eccezionale, perlopiù silenziata nelle nostre scuole: egli fermò la violenza, la ferocia e la sopraffazione musulmana ai danni degli Stati europei.

Casa Savoia è una delle dinastie più antiche d’Europa. Quando diventa cattolica e comincia a intessere stretti rapporti con la Chiesa?

Cattolica lo è sempre stata. Infatti, sorse nell’età del Sacro Romano Impero, quando era pubblicamente riconosciuto il Regno sociale di Gesù Cristo. L’alba sassone del casato è attestata sin dalla fine del X secolo nel territorio di Borgogna, dove venne infeudata la contea di Savoia, elevata poi a ducato nel XV secolo. Il primo documento che attesta ufficialmente i rapporti fra la dinastia e la Santa Sede risale all’anno 1066, quando papa Alessandro II annunciò alla Adelaise comitisse, ovvero alla contessa Adelaide di Susa, conosciuta anche come contessa di Torino (consorte di Oddone di Savoia, marchese di Torino e conte di Savoia dal 1046), che l’arcivescovo di Milano Guido da Velate era stato deposto dal Sinodo e che l’eletto di Asti Ingone, consacrato da Guido, non poteva essere enumerato fra i vescovi. L’alta considerazione dei Pontefici nei confronti dei Savoia è un elemento che da questo momento in poi sarà documentalmente continua.

Quando e perché i rapporti tra i Savoia e la Chiesa si incrinarono?

Il processo che portò alla rottura dei rapporti con la Chiesa di Roma ebbe inizio con il Governo di Massimo d’Azeglio, primo ministro del Regno di Sardegna dal 1849 al 1852, il quale mise in atto una serie di provvedimenti e di riforme apertamente liberali. In questo contesto il guardasigilli Giuseppe Siccardi propose le anticlericali leggi che portano il suo nome, subito approvate a grande maggioranza dalla Camera, nonostante le resistenze dei conservatori più legati alla Chiesa. Vittorio Emanuele II avallò quelle leggi. Papa Pio IX, il 22 gennaio 1855, inviò un’allocuzione nella quale espose i molti decreti con i quali il Governo vessava la Chiesa, provando come la legge d’incameramento fosse contraria al diritto naturale, divino e sociale e come essa aprisse agli errori del socialismo e del comunismo.

Il 29 maggio di quell’anno arrivò la scomunica per tutti «gli autori, i fautori, gli esecutori» della legge Rattazzi, approvata il 2 marzo, che produsse la soppressione di 334 case religiose per un totale di 5.456 religiosi. Tuttavia, nonostante le offese, le umiliazioni e le persecuzioni, nel 1859, su richiesta di Vittorio Emanuele II stesso, papa Pio IX accordò il perdono pieno e senza condizioni. Il primo Re d’Italia era convinto (o si era lasciato convincere) che una cosa erano le questioni politiche e dello Stato, altra erano quelle religiose, perciò non intervenne mai sull’operato del Governo ai danni della Chiesa, alla quale venne sottratto il potere temporale. Da sfatare è il falso mito di una negazione dello Stato Pontificio ad un’unione politica della nazione, che peraltro geograficamente, linguisticamente, religiosamente, culturalmente esisteva da secoli e secoli. Infatti, Pio IX, già nel 1847, aveva promosso la costituzione di una «Lega doganale» fra gli Stati italiani preunitari, che rappresentò il più importante tentativo politico-diplomatico dell’epoca volto a realizzare l’Unità d’Italia per vie doganali e federali, con accordi economici e commerciali al fine di favorire l’integrazione economica, ma senza snaturare le identità peculiari che ancora oggi esistono e che sono una ricchezza straordinaria della realtà Italia di fronte al mondo intero. Vittorio Emanuele II morì il 9 gennaio 1878, non prima che il Papa si preoccupasse di favorire per lui una dipartita con i sacramenti, come il Re stesso desiderava. La ricucitura fra Casa Savoia e la Chiesa avvenne con i Patti Lateranensi del 1929 e, da un punto di vista squisitamente spirituale, si stabilì nel 1983 con quello che ritengo il testamento spirituale di Re Umberto II: la donazione al Sommo Pontefice della Regina di tutte le reliquie, la Sacra Sindone, vero e proprio palladio della dinastia.

Casa Savoia ha un suo Santo patrono, San Maurizio. Chi era costui?

San Maurizio era il patrono del Sacro Romano Impero e divenne patrono anche di Casa Savoia. Era un generale dell’Impero romano, a capo della Legione tebana egizio-romana, operante prima nella Mesopotamia nel corso del III secolo e poi trasferita nell’Europa centrale romana, a Colonia, a nord delle Alpi. In seguito al rifiuto di intraprendere azioni punitive contro i cristiani, venne martirizzato durante la decima persecuzione di Diocleziano insieme a tutta la Legione che guidava e che si era interamente convertita. Il duca Emanuele Filiberto fece traslare da Saint-Maurice a Torino parte delle reliquie di san Maurizio: la spada, la croce e l’anello, che sono custodite nella Cappella della Sacra Sindone. Prima del Concilio Vaticano II la teca contenente i sacri reperti veniva esposta alla venerazione dei fedeli ogni 15 gennaio, anniversario della traslazione.

Quale fu l’atteggiamento dei Savoia verso i propri sudditi e in particolare i membri più poveri?

Caratteristico e singolare fu sempre il rapporto dei Savoia con i propri sudditi: sovrani e popolo venivano a creare un corpo unico dello Stato, senza divisioni. Per esempio, l’argenteria delle case benestanti subalpine non raggiungeva mai più di due generazioni, in quanto veniva donata al piccolo Stato, per essere fusa, in particolare dopo le costose guerre per la difesa indefessa dei propri confini contro francesi e spagnoli in particolare, sempre pronti ad assediarli. Tutti, ricchi e meno ricchi avevano un unico obiettivo: salvaguardare l’esistenza, con il proprio sacrificio, compresi gli stessi sovrani che lottavano in prima linea, dei propri territori, proseguendo quell’idem sentire fra signori e popolo che era proprio delle popolazioni sassoni del Sacro Romano Impero da cui i Savoia provenivano. I poveri, facenti parte integrante della comunità, sono sempre stati seguiti proprio a motivo della Carità cristiana applicata. Si pensi al caso di re Carlo Alberto di Savoia, influenzato sì, politicamente parlando, dalle idee liberali di stampo francese, ma religiosamente “ortodosso”: senza la sua firma sulle patenti regie (ovvero i permessi) delle plurime iniziative caritative dei Santi della Torino dell’Ottocento, destinate ai nullatenenti, ai disoccupati, ai bambini abbandonati, ai carcerati, ai malati, agli analfabeti, quelle opere non avrebbero avuto vita. Inoltre, i palazzi del capoluogo piemontese ci ricordano ancora la loro funzione: abitati da nobili, borghesi, poveri insieme; quest’ultimi ubicati nelle soffitte. Ognuno appartenente a una determinata classe sociale, ma residente negli stessi luoghi, in un interessante sistema di convivenza urbana, fatta di reciproco rispetto, basato sui princìpi evangelici. La semplicità e la sobrietà di Casa Savoia ha, dunque, permesso lungo mille anni di Storia governativa (dalla contea al regno) un sodalizio sociale unico nel suo genere.

Qual è l’eredità artistica e culturale tramandataci dal regno sabaudo?

Le diverse residenze sabaude e le diverse loro testimonianze sono disseminate in Europa e stanno a dimostrare una ricchezza culturale di impareggiabile valore storico-artistico. Nel libro è riportato un inserto iconografico, affiancato da mappe di tutti i luoghi sabaudi, per dimostrare che attraverso l’architettura e l’arte, ma anche attraverso le sepolture dei Savoia nelle abbazie, nelle cattedrali e nelle chiese, essi non sono evaporati, ma costituiscono una presenza reale e attuale, di cui le istituzioni culturali, i turisti, i visitatori, gli studiosi, i pellegrini usufruiscono a piene mani. Quando il maestro Ennio Morricone giunse alla Reggia di Venaria il 15 giugno 2009, per dirigere un concerto delle sue intramontabili colonne sonore nell’area attigua ai maestosi giardini, disse: «È la prima volta che vedo la Reggia. È davvero un palazzo da sogno. Non sapevo neanche che esistesse questa meraviglia. Fino a qualche giorno fa sapevo che venivo a fare un concerto nei pressi di Torino, oggi mi trovo di fronte a qualcosa di stupendo. Non conosco molto bene la storia di questo monumento, ma potrebbe essere ispirazione per una composizione, considerato il fascino che emana. L’impressione è di stare in mezzo alla storia. La Reggia è molto composta, misurata, seria: è tutto bello ed entusiasmante». Il geniale compositore aveva colto con magistrale sintesi lo stile sabaudo: compostezza, misura, serietà in mille anni di storia europea. Lo stile di vita delle corti sabaude è sempre stato raffinato ed elegante, purtuttavia contenuto e sobrio, mai sfacciato. Non si doveva dimostrare di avere, ma di essere. La straordinaria mostra, che rimarrà aperta fino al 31 maggio a Torino, nella Biblioteca Nazionale Universitaria, dedicata al messinese che lavorò alla corte di Vittorio Amedeo II nel XVIII secolo, Filippo Juvarra. Regista di corti e capitali dalla Sicilia al Piemonte all’Europa, è uno degli esempi di ciò che Casa Savoia ha contribuito a donare all’Europa.

Beatrice Maria Beretti

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