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Nei giorni scorsi un gruppo di studenti dell’Istituto Giorgi-Woolf di Roma ha vinto il premio dell’iniziativa Informiamoci, promossa dalla Società medica italiana per la contraccezione (Smic) e dall’associazione culturale Lacelta, realizzando uno spot blasfemo che mette in scena l’arcangelo Gabriele che porge una scatola della pillola abortiva dei cinque giorni dopo alla Madonna.

Questa blasfemia, che ridicolizza la Divina Annunciazione, ha naturalmente scatenato varie riflessioni sul web.

LA FEDE QUOTIDIANA vi offre il commento della giovane poetessa e filologa Roberta Conte.

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SULL’ABORTO DI CRISTO

Annullata la capacità di riconoscere il sacro nel quotidiano, il miracolo nell’ordinario, è una conseguenza abbastanza prevedibile quella di arrivare al punto in cui il vilipendio alla religione cristiana venga addirittura premiato.

Solo così può spiegarsi l’inconsueta situazione verificatasi per il progetto sulla contraccezione promosso dalla Società medica italiana.

Viviamo, come direbbe Chesterton, in un «mondo che conosce il prezzo di tutto, ma che ignora il valore delle cose», come è stato ignorato dalla “giuria” che ha plauso a quello spot di cui nemmeno cito le circostanze o le caratteristiche per quanto male fisico mi procura il solo pensiero.

Siamo stati lentamente e senza percezione paralizzati da una società del consumo che vieta anche la più piccola possibilità di riconoscimento della bellezza del Nuovo nel Vecchio.

Allora va bene la morte – declinata nell’aborto o nell’eutanasia – perché la vita non è più sacra. Va bene progettare un commercial che suggerisca alla Madonna di abortire Cristo – perché di questo si è trattato se vogliamo chiamare le cose col loro nome –.

Va bene una società che cancelli le proprie origine cristiane, così come va bene l’intenzione di sradicare la famiglia dal suo fine unico e irripetibile. Va bene che la scuola invece di educare i giovani al rispetto della bellezza (pure di quella non condivisa) indichi la strada dell’offesa al prossimo e dello sbeffeggiamento di ciò che non riconosco
mio. Va bene sacrificare sull’altare della libertà di espressione, di essere, di sentimenti, di chipiùnehapiùnemetta ogni forma di meraviglia, di miracolo, di vero nel reale, di rispetto e di pudore.

Se è questo lo scenario, il mondo va salvato proprio con tutto quello che il mondo stesso aborrisce: una Bellezza che si mescoli alla Verità.

Lo diceva Keats: «bellezza e verità sono una cosa. Questo è quanto sappiamo sulla terra e questo è tutto che sapere importa.»

Quel quadro oltraggiato insieme alla religione che vi è rappresentata, altro non è che il quadro che ci siamo dipinti da soli in questa matta società in cui ci troviamo a vivere, dove ogni sistema valoriale è stato capovolto e ogni desiderio di verità spento al soffio del vento del conformismo. Dove Bellezza e Verità vivono separate.

Allora la domanda da porre qui è: che pittore voglio essere? Voglio dipingere la verità nel rispetto del reale? O voglio macchiare per sempre la tela col fango che porta il mio pennello?

Roberta Conte

 

Ps. Nella foto la Madonna del parto di Piero della Francesca

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