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pino_puglisiSono partiti i lavori in via Fichidindia, nel cuore del quartiere Brancaccio di Palermo, dove sorgerà la chiesa sognata da padre Pino Puglisi, il beato siciliano ucciso dalla mafia, nella stessa borgata, il 15 settembre 1993, giorno del suo 56° compleanno e beatificato il 25 maggio 2013 durante una suggestiva quanto partecipata cerimonia tenutasi presso il “Foro Italico Umberto I” di Palermo.

Oggi, su un terreno di 12.000 metri quadrati confiscato alla mafia, sorgerà la chiesa ed altri locali per svolgere incontri ed altri per attività ludiche e sportive per i ragazzi. A due anni dalla posa della prima pietra e dopo un lungo iter burocratico il progetto è stato presentato alla comunità parrocchiale di San Gaetano, dal cardinale Paolo Romeo, insieme al parroco don Maurizio Francoforte e ai progettisti. “Il sogno del Beato padre Puglisi – afferma il cardinale Paolo Romeo – comincia a diventare realtà. Abbiamo lottato fortemente per realizzarlo. Adesso contiamo sull’aiuto di tutta la città per realizzarlo”. 
Il progetto, firmato da Daniela Federico e Ciro Trentacosti, sarà realizzato in due anni dalla ditta Eurocostruzioni e avrà un costo complessivo di circa 9 milioni di euro. Intanto saranno realizzati la chiesa e i locali per un valore complessivo di 4 milioni e 700 mila euro finanziati con i fondi dell’8 per mille. Successivamente con le risorse che dovrebbero arrivare dalle donazioni, si procederà con la costruzione dei laboratori, del campo sportivo polivalente, dell’anfiteatro e dell’area verde di 6 mila metri quadrati. Era questo il cuore del progetto sognato da Puglisi, un luogo di incontro e non soltanto la chiesa.  
“Don Pino pensava in grande – dice il parroco don Maurizio Francoforte – il suo progetto lo dimostra. Adesso abbiamo l’occasione di realizzare la sua idea, bella, utile e funzionale”. Diceva il beato: “”Le nostre iniziative e quelle dei volontari devono essere un segno. Non è qualcosa che può trasformare Brancaccio. Questa è un’illusione che non possiamo permetterci. E’ soltanto un segno per fornire altri modelli, soprattutto ai giovani. Lo facciamo per poter dire: dato che non c’è niente, noi vogliamo rimboccarci le maniche e costruire qualche cosa. E se ognuno fa qualche cosa, allora si può fare molto…”.
 
Matteo Orlando 

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