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La ricorrenza del XXVI anniversario dell’attentato mafioso al giudice Borsellino in via D’Amelio a Palermo ci permette di fare alcune considerazioni.

Michele Pantaleone, nisseno di Villalba, che ha operato negli anni sessanta-novanta, parlando della mafia e della sua strategia, sottolineava: “La mafia quanto prima, smetterà di usare l’arma della violenza e delle stragi. Lo farà solo in casi estremi. Sarà sempre viva e come una piovra, tenterà di inserire nei gangli vitali delle istituzioni suoi uomini. Non sarà esclusa nessuna, compresa la Chiesa. Solo così sarà sempre viva e operante”. Pantaleone affermava: “mutuiamo il detto ‘non si muove foglia che Dio non voglia’ in ‘non si muove foglia che la mafia non voglia’. Oggi non è cambiato niente. Perciò non stupisce che a capo di organizzazioni antimafia ci siano mafiosi. O chi predica l’antimafia usa metodi mafiosi che trova terreno fervido nella cultura omertosa della nostra gente”.

Trovo di grandissima attualità quanto allora lui scriveva. Non è cambiato niente. Anzi oggi la sottooccupazione e la povertà, unite a un livello generale più basso di cultura, rese ancora più vive per la presenza degli extracomunitari, ha creato “un brodo esistenziale” dove più facilmente può attecchire una mentalità mafiosa, di violenza e di ostracismo xenofobo.

Ricordo anche cosa ci disse il Giudice Sebastiano Patanè in un incontro tenuto presso un Istituto siciliano, il Magistrale Crispi di Ribera, dove io ero docente di Religione. Il giudice confrontava l’agire dello Stato e della mafia. Affermava: “lo Stato per cambiare una legge impiega anni e la legge cambiata è talmente farraginosa e imprecisa, che spesso diventa inapplicabile; la mafia nello spazio di 5 minuti cambia radicalmente la sua strategia. Per questo motivo lo Stato arriva sempre in ritardo”.

Comprendiamo perciò come tanti reati di mafia sono rimasti e rimangono impuniti. Basti pensare quanti processi e quante sentenze ci sono state e ci sono ancora riguardo a delitti commessi 30- 20 anni fa.
Si parla di “Borsellino ter, quater”, per citare il caso che abbiamo di attualità. Se non c’è una rivoluzione culturale radicale, saremo sempre al punto di partenza e se non si aggrediranno i loro capitali leciti e illeciti, guerreggeremo ad armi impari.

Il mafioso potrà ancora oggi (per assurdo) non sapere leggere e scrivere, ma per testa non è secondo a nessuno. Ha ragione Gesù quando afferma che: “i figli delle tenebre sono più accorti dei figli della luce”.

Nel caso della morte di Borsellino, e degli agenti della scorta, allora si parlò di connivenze (agenda rossa) tra mafia e politica. C’è e ci sarà sempre. Dico di più: anche parte del clero ha fatto parte di questo sottobosco. Trovandomi a Montallegro, in occasione della prima Festa della Famiglia, promossa dal sottoscritto ed aperta a tutti i gruppi locali, ho protestato, perché un gruppo canoro sorto in quel tempo, cantò una canto di Buttitta dal titolo “mafia e parrina si dettiru la manu”.

Perché ho protestato? Non perché negavo la connivenza, ma perché, per mia formazione, chiamo per nome e cognome e non mi piace “fare di ogni erba un fascio”. Amo la verità sempre perché solo essa ci fa veramente liberi. Ho esultato di gioia, quando S. Giovanni Paolo II, nella valle dei templi di Agrigento tuonò contro la mafia. Ha confermato quanto tanti preti di frontiera abbiamo avuto il coraggio già di dire. Ho pianto e piangerò sempre per quella frangia di clero, prelati e non che hanno negato e ne negano ancora la sua esistenza.

Il collateralismo c’è stato e c’è ancora. Ma protesto energicamente quando di ogni erba si fa un fascio. Come in ogni realtà, ci sono i buoni e i cattivi, gli onesti e i disonesti, i mafiosi e i “normali”. Aumentiamo il numero di quest’ultimi!

PADRE ANTONIO NUARA

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