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“Il celibato sacerdotale è un dono prezioso”: lo dice in questa interessante intervista che ci ha rilasciato il professor e sacerdote  padre Andrzej Wodka, polacco e claretiano, presidente dell’ Avepro.

Padre  Wodka, qual è la sua idea di docente e sacerdote sul celibato sacerdotale?

“A mio avviso è un dono utilissimo ed anche prezioso ed io sono per il celibato sacerdotale. Solo un prete non uxorato è  disponibile ad esercitare la sua missione. Io non amo al proposito di parlare di libertà, preferisco dire disponibilità. Il non avere la responsabilità di una  famiglia lo rende certamente meno vincolato e con meno affanni. Per altro verso conosco fedeli che si confessano a preti uxorati di chiese cattoliche di rito orientale i quali mi dicono che questi confratelli, proprio in virtù della loro condizione, riescono maggiormente a comprendere gli affanni, i problemi, le situazioni concrete dei penitenti. Ricordo che il celibato non è un dogma di fede, ma una norma ecclesiastica e allora al riguardo se ne può discutere. Tuttavia, neppure è una imposizione. Tanti che lo hanno abbracciato lo portano  o lo hanno portato talvolta tra le lacrime per il suo peso che è innegabile. Sesso e sessualità infatti sono un bene che Dio ci regala e non un tabù. Confratelli che non ce la hanno fatta a resistere sono andati via. Insomma, quella del sacerdote celibe è una condizione bella, non facile da abbracciare in massima responsabilità, ma si eviti di leggere la figura del ministro di Dio in maniera angelicata. Un inutile e dannoso sentimentalismo”.

Pensa che aprendo ai preti sposati in Amazzonia possa aversi un vulnus nella Chiesa?

“Quello è un discorso locale molto serio e dobbiamo metterci nei panni di tanti fedeli che non riescono ad avere l’ eucarestia. Talvolta mi domando: ci sarà pure un motivo se tanti preti diocesani preferiscono rimanere comodamente nei loro posti e altri che arrivano qui in Europa da continenti disagiati  non vogliono far ritorno nelle loro terre di origine. Il sacerdozio non è comodità o privilegio, bensì missione anche disagiata, se necessario”.

Dopo la recente pubblicazione del libro “Dal profondo dei nostri cuori” pensa che si sia determinata una spaccatura nella Chiesa?

“No. Anche se innegabilmente essa vive un momento delicato. Ma è sempre stato così, poi li ha sempre superati”.

Il libro ha scatenato polemiche per il contributo del Papa emerito. Pensa  che Benedetto XVI doveva esprimersi?

“Molti mi chiedono che cosa sta succedendo e a chi dobbiamo dare ascolto. La mia risposta è: facciamo sempre riferimento alle fonti, ai testi originali e alle comunicazioni che ci sono arrivate. Innegabilmente il Papa emerito ha diritto a dire la sua e scrivere, anche se aveva assicurato il suo silenzio. Se ha scelto di parlare, significa che per lui il problema esiste. Ho la sensazione che  egli, sia pur in buona fede, venga strumentalizzato. Del resto Papa Benedetto XVI sa bene, dopo Ratisbona, quanto la strumentalizzazione sia pericolosa e facile, alla pari del potere mediatico. Insomma: egli ha diritto ad esprimersi, ma è anche lecito chiedersi: la tempistica dell’intervento era del tutto felice o no? La libertà è sacra, però occorre essere prudenti affinchè non sorgano confusione e sbandamento”.

Bruno Volpe

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