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«Il professor Josef Seifert ha compiuto un atto urgente e meritorio nel formulare domande critiche su alcune affermazioni palesemente ambigue contenute nel documento papale Amoris Laetitia, considerando che queste affermazioni stanno causando un’anarchia morale e disciplinare nella vita della Chiesa, un’anarchia che è sotto gli occhi di tutti e che, nessuno che ancora usi la propria ragione e abbia vera fede e onestà, può negare. La misura punitiva contro il professor Seifert da parte di una autorità ecclesiastica non è solo ingiusta, ma rappresenta in definitiva una fuga dalla verità, un rifiuto di dibattito oggettivo e di dialogo, mentre, contemporaneamente la cultura del dialogo viene proclamata come un’importante priorità nella vita della Chiesa dei nostri giorni». Ha commentato così la vicenda Seifert (rimosso dal suo arcivescovo dalla sua cattedra presso l’Accademia Internazionale di Filosofia di Granada per avere criticato alcune affermazioni di Amoris Laetitia) Sua Eccellenza Mons. Athanasius Schneider, vescovo ausiliare dell’Arcidiocesi di Astana (Kazakistan), intervistato da Maike Hickson per OnePeterFive.

 

Il vescovo Kazako ricorda che la «base dell’unità autentica della Chiesa è la verità […] Dio ci ha indicato il dovere di difendere la verità, quando essa è in pericolo di essere deformata da parte di qualsiasi membro della Chiesa, anche se questa deformazione avvenisse a nome del supremo pastore della Chiesa […] Questo principio di correzione fraterna all’interno della Chiesa è stato valido in ogni momento, anche verso il papa, e quindi dovrebbe essere valido anche nel nostro tempo. Purtroppo, chiunque nei nostri giorni osi parlare di verità – anche quando lo fa con rispetto nei confronti dei Pastori della Chiesa – è classificato come un nemico dell’unità, come accadde a San Paolo; quando egli dichiarò: “Sono dunque diventato vostro nemico dicendovi la verità?” (Gal. 4,16)».

 

Su Papa Francesco il vescovo dice che «il papa è il primo servitore della Chiesa (servus servorum). Egli è il primo che deve ubbidire in modo esemplare a tutte le verità del magistero immutato e costante, perché lui è solo un amministratore, e non un proprietario, delle verità cattoliche, che ha ricevuto da tutti i suoi predecessori. Il Papa non deve mai comportarsi verso le verità e la disciplina trasmesse costantemente, facendo riferimento a loro come se fosse un monarca assoluto, dicendo “Io sono la Chiesa” […] I vescovi non sono dipendenti del Papa, ma divinamente costituiti colleghi del Papa, anche se giurisdizionalmente subordinati a lui, ma sempre colleghi e fratelli. Quando il Papa stesso tollera un’ampia diffusione di evidenti errori di fede e di gravi abusi dei sacramenti (come l’ammissione ai sacramenti di adulteri non pentiti), i vescovi non dovrebbero comportarsi come impiegati servili che si chiudono nel silenzio. Un tale atteggiamento dimostrerebbe indifferenza verso la grave responsabilità del ministero petrino e contraddirebbe la stessa natura collegiale dell’episcopato e l’autentico amore per il Successore di Pietro».

 

Il vescovo ricorda che «da decenni sono entrati all’interno della Chiesa il “politicamente corretto” e le “buone maniere” finalizzati a proclamare e promuovere praticamente la libertà nel discorso teologico, nel dibattito e nella ricerca, in modo che la libertà di pensiero e di parola divenisse uno slogan. Allo stesso tempo, si può ora osservare il paradosso per cui questa stessa libertà è negata a coloro che, nella Chiesa dei nostri giorni, alzano le loro voci con rispetto e cortesia in difesa della verità. Questa bizzarra situazione mi ricorda una canzone famosa che ho dovuto cantare nella scuola comunista durante la mia infanzia e le cui parole erano le seguenti: “L’Unione Sovietica è la mia amata patria, e non conosco un altro paese al mondo dove l’uomo possa respirare così liberamente”».

 

Mons. Schneider ha voluto commemorare il cardinale Carlo Caffarra. «Ho visto in lui un vero uomo di Dio, uomo di fede, con visione del soprannaturale. Ho notato in lui un profondo amore per la verità. Quando ho parlato con lui sulla necessità che i vescovi sollevino le loro voci di fronte al diffuso attacco contro l’indissolubilità del matrimonio e della santità dei legami sacramentali del matrimonio, ha affermato: “Quando noi vescovi faremo questo, non dobbiamo temere nessuno e niente, perché non abbiamo nulla da perdere”. Una volta ho detto a una donna statunitense molto intelligente e profondamente cattolica e credente la frase usata dal cardinale Caffarra, cioè che noi vescovi non abbiamo nulla da perdere quando diciamo la verità. A questa mia frase lei replicò con queste parole indimenticabili: “Perderete tutto quando non farete ciò”.

 

In merito ai Dubia, mons. Schneider ritiene la loro formulazione e la loro pubblicazione «un merito encomiabile e, in un certo senso, anche un atto storico, che onora veramente il Sacro Collegio dei Cardinali. Nella situazione attuale, l’indissolubilità e la santità del matrimonio sacramentale sono minate e, in pratica, negate a causa dell’accesso normativo degli adulteri non pentiti ai sacramenti, banalizzando e profanando così anche i sacramenti del Matrimonio, della Penitenza e dell’Eucaristia. In gioco è, in ultima analisi, la validità dei Comandamenti Divini e dell’intera legge morale, […] Possiamo confrontare questa situazione con quella di una nave in un mare tempestoso, in cui il capitano ignora i pericoli evidenti, mentre la maggior parte dei suoi ufficiali si chiude nel silenzio dicendo: “Tutto va benissimo sulla nave che affonda”. Quando, in quella situazione, un piccolo numero di ufficiali della nave poi sollevano le loro voci per la sicurezza di tutti i passeggeri, loro stessi sono grottescamente e ingiustamente criticati dai loro colleghi come “ammutinati” o come “guastafeste”. Anche se il capitano ritenesse le voci dei pochi ufficiali al momento disturbanti, riconoscerà con gratitudine il loro aiuto più tardi, quando dovrà affrontare il pericolo guardandolo in faccia e quando apparirà lui stesso davanti al Giudice Divino. E così saranno anche grati sia i passeggeri che la Storia, quando il pericolo sarà passato. L’atto coraggioso e i nomi di quei pochi ufficiali saranno ricordati come veramente generosi ed eroici; ma sicuramente non quegli ufficiali che, per ignoranza, per opportunismo o per servilismo, si chiusero nel silenzio o persino assurdamente criticarono coloro che avevano sostenuto un’azione salvifica per quella nave che affondava. Ciò corrisponde in qualche modo alla situazione attuale sui dubia dei Quattro Cardinali».

 

Dopo la morte di 2 dei 4 firmatari dei Dubia, mons. Schneider si augura che «più cardinali, come gli ufficiali di quella nave in un mare in tempesta, adesso uniscano le loro voci alle voci dei Quattro Cardinali, indipendentemente dalla lode o dalla colpa» e conclude: «quando sacerdoti e laici rimangono fedeli all’insegnamento e alla pratica costante di tutta la Chiesa, sono in comunione con tutti i Papi, i Vescovi ortodossi e i Santi di duemila anni, essendo in speciale comunione con San Giovanni Battista, San Tommaso Moro, San John Fisher e con gli innumerevoli coniugi abbandonati che rimasero fedeli ai loro voti matrimoniali, accettando una vita di continenza per non offendere Dio. La voce costante nello stesso senso e significato […] e la pratica corrispondente di duemila anni sono più potenti e più sicuri della voce discordante della pratica di ammettere gli adulteri impenitenti alla Santa Comunione, anche se questa pratica è promossa da un singolo papa o vescovi diocesani. In questo caso dobbiamo seguire l’insegnamento e la pratica costante della Chiesa, perché opera qui la vera tradizione, la “democrazia dei defunti”, cioè la voce di maggioranza di quelli che ci hanno preceduto. […] Tutta la tradizione cattolica si schiera sicuramente e con certezza contro una pratica fabbricata e dalla breve vita che, in un punto importante, contraddice l’intero Magistero di tutti i tempi. Quei sacerdoti, che ora fossero costretti dai loro superiori a dare la Santa Comunione agli adulteri pubblici e non pentiti, o ad altri peccatori notori e pubblici, dovrebbero rispondere con santa convinzione: “Il nostro comportamento è il comportamento di tutto il mondo cattolico da duemila anni”. […] Sacerdoti e fedeli dovrebbero dire ai loro Superiori ecclesiastici e ai Vescovi con amore e rispetto al Papa, che San Paolo disse una volta: “Perché non possiamo fare nulla contro la verità, ma solo per la verità. Perché noi siamo contenti quando siamo deboli e voi siete forti. Ciò per cui preghiamo è la vostra rinascita e reintegrazione” (2 Cor 13,8).

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