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Il 20 dicembre 2017 è morto, all’età di 88 anni, padre Piero Gheddo, del Pontificio istituto missioni estere (PIME), uno dei missionari-giornalisti più importanti d’Europa, figura ecclesiale e culturale di spicco nella Chiesa e nella società italiane. I funerali saranno celebrati sabato 23 dicembre alle ore 10 presso la chiesa di S. Anna, in Via Albani 56, a Milano.  Fino a poco prima delle esequie sarà possibile rendere omaggio alla salma allestita una Camera ardente presso la Cappella dei Martiri del Pime, in via Mosé Bianchi 94, sempre nel capoluogo lombardo.

«Con la morte di padre Gheddo – ha dichiarato il superiore generale del Pime, padre Ferruccio Brambillasca – la Chiesa, il Pime e la missione perdono un missionario prezioso, vitale ed entusiasta. Padre Gheddo ha contribuito molto alla causa missionaria come giornalista (ha portato nelle nostre case la missione “fino agli estremi confini della terra”), come storico (ha seguito fino all’ultimo la storia delle missioni del Pime e non solo) e come animatore missionario: ha suscitato, infatti, attraverso i suoi scritti, molte persone che sono poi diventate missionari/e oppure hanno sostenuto con la preghiera e l’aiuto economico le missioni».

 

Figlio di Rosetta Franzi e Giovanni Gheddo, la cui causa di beatificazione è cominciata il 18 febbraio 2006, Padre Gheddo è nato nel 1929 a Tronzano Vercellese, è entrato nel Pime nel 1945 e ordinato sacerdote nel 1953. Avrebbe dovuto partire per l’India, invece i superiori l’hanno tenuto nella stampa, all’inizio in modo provvisorio, poi ha finito per restare in Italia. È stato fra i fondatori dell’Editrice Missionaria Italiana (EMI) nel 1955, del Centro missionario Pime a Milano nel 1961, di “Mani Tese” nel 1964, di “Asia News” nel 1986, dell’Ufficio Storico del Pime nel 1994. Direttore di “Le Missioni Cattoliche” (1959-1994), che dal 1968 ha preso il nome di “Mondo e Missione”, si è affermato come una delle voci più importanti del mondo missionario, per lunghi decenni. Padre Gheddo ha scritto quasi 100 volumi, con una trentina di traduzioni all’estero e ha collaborato con vari giornali, radio e televisioni. Ha presentato il Vangelo della domenica alla televisione di Rai Uno tutti i sabati sera (1993-1995) e a Radiodue ogni mattino alle 7,18 per diversi periodi. Ha ricevuto diversi premi, i due principali sono il “Premio Campione d’Italia” nel 1972 (riconoscimento annuale dei giornalisti italiani), assegnatogli da Indro Montanelli che divenne poi suo amico) e il Premio UCSI della stampa cattolica nel 1980 e 2011.

Padre Gheddo è noto per la sua attività di missionario-giornalista e per le sue prese di posizione contro la guerra in Vietnam e contro i no-global. Ha proposto di boicottare le Olimpiadi in Cina del 2008 per liberare la Birmania ma è soprattutto noto per la sua fede e per l’aver compreso il vero senso del significato cattolico di missione.

Intervistato da Gerolamo Fazzini nel 2015 (Gheddo-Fazzini, “Inviato speciale ai confini della fede”, Emi 2016) Padre Gheddo ci offre preziosi insegnamenti. Eccone un piccolo florilegio:

«La sofferenza portata con fede, in unione con la passione di Gesù, porta sempre frutti, come la sua Passione. Quindi sono contento, perché provo proprio cosa vuol dire la sofferenza in compagnia di Gesù, portando la mia piccola croce».

«Non chiedo la grazia di guarire. Spero che il Signore mi guarisca, ma dico: “Sia fatta la tua volontà, se pensi che io stando in carrozzina possa dare il mio contributo, quel che scegli tu per me è sempre il meglio”. D’altra parte, la via è quella. Gesù ha salvato il mondo con la croce e poi con la resurrezione. È una riflessione che facilmente dimentichiamo quando siamo in piena attività».

«Un amico giornalista mi chiese: “Qual è il segreto della tua vita? Perché tu affronti guerre, dittature, pericoli di ogni genere, vai tra i lebbrosi e nelle baraccopoli più disastrate e pericolose, e sei sempre sorridente…”. Ho risposto: “Il mio segreto è la preghiera”».

«Pregare vuol dire meditare l’amore di Dio e la morte di Gesù Cristo in Croce, per meritare il perdono dei miei peccati! Pregare è amare Gesù e mettersi nel cammino dell’imitazione di Cristo. Gesù è tutto il mio amore, tutta la mia gioia, l’Unico a cui cerco di orientare le mie azioni, i miei affetti e pensieri. A Lui ho consacrato la mia vita. Per me pregare è chiedere al Signore di rinnovarmi ogni giorno il gioioso stupore e l’entusiasmo della prima Messa il 29 giugno 1953 a Tronzano vercellese; di concedermi il dono delle lacrime per commuovermi pensando che io, povero peccatore, chiamo sull’altare il mio Dio e lo distribuisco in cibo all’umanità affamata. Mi chiedo se l’annunzio che faccio di Cristo con la vita, gli scritti e la parola, è ancora un messaggio di gioia, di quella gioia che gli angeli comunicavano ai pastori nella “notte santa”: “Oggi nella città di Davide è nato il vostro Salvatore, il Cristo, il Signore” (Luca, 2, 10-11)».

«Quando Gesù chiama Pietro e suo fratello, mi commuove sempre: “Vi farò pescatori di uomini”. E loro sono andati con Lui. Anche al bambino Pierino Gheddo ha detto: “Ti farò pescatore di uomini”. Io sono andato con Lui e dopo 80 e più anni sono contentissimo di averlo seguito».

«Il mio santo preferito è San Giuseppe. Quando, giovane seminarista, ero al Pime di Genova nella “casa di San Giuseppe”, il rettore di allora propose varie meditazioni su San Giuseppe e a me è “entrato dentro”: ho incominciato a pregarlo e mi risponde sempre o quasi […] la sua umiltà mi tocca il cuore».

«Se Gesù si è fatto uomo, è morto in Croce ed è risorto per salvare gli uomini, li salva solo per la vita eterna o anche per migliorare le condizioni di vita dell’uomo e dei popoli? In Africa mi dicevano che i villaggi cattolici si sviluppano più dei villaggi animisti o musulmani; e non per gli aiuti perché si aiutavano tutti, ma perché Gesù cambia il cuore dell’uomo: da egoista lo rende altruista, da chiuso in se stesso lo apre agli altri, da insensibile a sensibile al bene pubblico, ecc. Nel 1983 ho pubblicato I popoli della fame per dimostrare la verità storica di questa intuizione. Un successo insperato (il libro è stato tradotto anche in Brasile, con la Prefazione di Helder Camara). Il Vangelo promuove lo sviluppo dell’uomo, come diceva Paolo VI nella Populorum Progressio (nn 14-21, 40-42); nella Redemptoris Missio di Giovanni Paolo II (n. 59) si legge: “Lo sviluppo dell’uomo viene da Dio, dal modello di Gesù uomo-Dio, e deve portare a Dio. Ecco perché tra annunzio evangelico e promozione dell’uomo c’è una stretta connessione”».

«Noi viviamo nell’abbondanza e nel superfluo, eppure non siamo mai contenti. Nei Paesi poveri spesso manca il necessario, ma c’è più ottimismo, più speranza nel futuro. Sì, i poveri hanno da insegnarci, eccome. Non so se le masse indiane di Calcutta o di Bombay (oggi Mumbai) sono più alienate delle folle di New York o di Londra. I due modelli di vita e di sviluppo dovrebbero integrarsi, imparare l’uno dall’altro: da un lato a produrre di più e a vivere con maggiori comodità, dall’altro a tornare una vita più austera e più attenta ai valori morali e culturali che non ai beni di consumo superflui».

«Nel mondo cattolico attuale ci sono molti buoni esempi di persone e istituzioni che hanno realizzato “una Chiesa povera per i poveri”. Ma la massa dei battezzati stanno entrando a poco a poco in questa prospettiva. Ciascuno di noi deve interrogare se stesso: sono attaccato al denaro? Aiuto volentieri i poveri? Cosa c’è di superfluo nella mia vita?, ecc. ».

«A dispetto di molti drammi nel mondo, divento sempre più ottimista per il futuro e non credo di essere un ingenuo. Vedo gli sterminati popoli che devono ancora ricevere l’annunzio della “Buona Novella” e soffro per l’indifferenza di troppi cristiani di fronte al problema primario: portare l’annunzio di salvezza a tutti gli uomini. Ma vedo anche con chiarezza che Gesù Cristo col suo Vangelo è sempre più l’unica via di salvezza per tutti. […] Non nego affatto gli enormi problemi che ci turbano, ma proviamo a leggerli “con gli occhi di Dio”. […] Noi non comprendiamo nulla della storia umana: vediamo tanti fatti, siamo sempre informati su tutto, ma non sappiamo giudicarli con il metro dell’eternità, cioè con il metro di Dio. […] La fede autentica ci dice che la storia dell’umanità, come la nostra piccola storia personale e quella millenaria della Chiesa, sono nelle mani di Dio. Ecco perché sono ottimista: perché mi fido di Dio, ho fiducia nella Provvidenza».

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