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Sulla recente e controversa pronuncia della Cassazione che ha detto sì alla coltivazione domestica della cannabis, abbiamo interpellato l’autorevole parere del dottor Giuseppe Capoccia, Magistrato, Procuratore Capo della Repubblica a Crotone, uno degli Uffici Giudiziari sempre in prima linea nella lotta al mercato della droga.

Procuratore Capoccia, qual è la sua opinione sulla recente sentenza della Corte di Cassazione?

“Per darvi un titolo dico: molto rumore per niente e spiego”.

Prego..

“Le sentenze, in realtà, partono sempre dall’ esame di fatti concreti. Nel caso di specie, a ben leggere, non dice e non afferma nulla di nuovo rispetto al consolidato e  presente orientamento della giurisprudenza di merito. Ovvero, il soggetto che ha in casa due o tre piantine di cannabis va esente da pena perchè non è considerato coltivatore e perchè, soprattutto, la destinazione è personale. Questo già lo prevede la legge italiana. Indubbiamente il messaggio, così come divulgato da molti media, non è per nulla edificante o educativo”.

Ricapitoliamo..

“In sostanza la Cassazione non ha mutato orientamento rispetto alle recenti sentenze. L’ uso personale non è reato. Perdonatemi l’ esempio. E’ come chi coltiva sul suo balcone due o tre piantine di basilico perchè non intende andare al fruttivendolo e usa quella verdura per casa sua. Non è coltivatore e tanto meno lo vende. Ovviamente non possiamo paragonare il basilico alla cannabis, ma  il principio è quello. Voglio solo far comprendere la situazione di fatto e il motivo che ha spinto la Corte a prendere quella decisione che lo ribadisco, non è una novità”

E allora, dottor Capoccia, perché tanto baccano?

“Intanto il grande chiasso, anche mediatico, si deve, forse, ad una tendenza presente nella società e probabilmente nella cultura o politica che vuole strumentalizzare la sentenza per arrivare alla liberalizzazione della droga, cosa che naturalmente mi vede nettamente contrario, non è pensabile cedere, anche se un cedimento progressivo è in atto ed è pericoloso”.

Lei, dottor Capoccia, è un credente. Ritiene che i ricorso alla droga in tanti giovani (ma non solo) sia causato da famiglie lacerate?

“E’ una spiegazione. Uno dei grandi problemi di questo tempo è il venir meno del principio di autorità, in famiglia, nelle agenzie educative, nella politica, nel lavoro. Manca spesso il rispetto delle regole e a livello universale, lo dico al riguardo della Chiesa cattolica, mi preoccupa la diversità di prassi e di condotta su temi di morale e pastorale tra le diverse conferenze episcopali. Insomma, situazioni simili, trattate e codificate nella prassi in modo diverso”.

Da giudice: la misericordia?

“Senta, non possiamo parlare solo di misericordia, senza la giustizia. Queste due categorie vanno di pari passo e nessuna esclude l’ altra, non sono in contrasto. Non esiste misericordia senza giustizia, altrimenti è anarchia. E penso sia utile parlare  del peccato”.

Bruno Volpe

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