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“Uno dei nostri rischi è di non saper più leggere la croce”. Lo ha affermato ieri sera l’arcivescovo di Agrigento, il cardinale Francesco Montenegro, al termine della Via Crucis cittadina durante la quale – ha osservato – abbiamo attraversato il cuore della città “meditando sulle piaghe e sulle ferite che l’uomo d’oggi deve subire, di cui allo stesso tempo siamo vittime e possiamo essere carnefici”.

“Vi invito a non abbassare gli occhi dalla croce”, ha proseguito Montenegro, ricordando che “in quella croce, si incrociano lo scandalo e la tenerezza, la sapienza e la morte, l’infedeltà e la Risurrezione, la cattiveria e l’amore”.

“L’abbiamo fatta diventare un abbellimento per il nostro vestiario o per le mure della nostra casa, ma la croce non riesce più a parlarci”, ha aggiunto l’arcivescovo, rilevando che “la croce sembra un albero senza radici, sterile; eppure, se sappiamo guardarla con gli occhi del cuore, quel legno è un albero fecondo che rende feconde le vite di chi lo guarda”.

Mettendoci “alla scuola di quella croce riusciamo a capire finalmente cosa significa amare, perché su quel legno il dolore diventa amore che vince la morte”. “Se sappiamo guardare veramente la croce ci accorgiamo che la vita di ogni uomo è preziosa, perché valiamo quella morte e quella Risurrezione”, ha continuato, sottolineando che “Gesù, che ebbe bisogno del Cireneo, chiede che ognuno di noi si faccia Cireneo per l’altro, e non giudice”.

Il cardinale ha chiuso la sua riflessione invitando al silenzio e alla preghiera per “quelle persone che hanno perso la loro vita senza averne colpa” a Stoccolma e in Siria per le armi chimiche e i bombardamenti. (SIR)

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