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Poco giorni fa il Santo Padre ha riconosciuto le virtù eroiche del servo di Dio Alessandro Nottegar, veronese, sposato con Luisa Scipionato (dal 1971 fino alla morte, avvenuta per un infarto nel 1986), padre di tre figlie, medico, missionario e fondatore della Comunità Regina Pacis. La Fede Quotidiana è riuscita a contattare in Brasile proprio la moglie del futuro beato, alla quale ha sottoposto alcune domande.

Come ha accolto la notizia del riconoscimento delle virtù eroiche di suo marito, quali emozioni si provano nel pensare di essere stata la moglie di un prossimo beato della Chiesa Cattolica?

«Questa splendida notizia mi ha sorpreso in Brasile, dove mi trovo per visitare le tre missioni della nostra Comunità Regina Pacis. Nel mio cuore c’è un insieme di gioia e di senso di indegnità: ho sempre saputo, ancora quando eravamo insieme, che Alessandro era un uomo santo, ma non avrei mai immaginato che venisse riconosciuto dalla Chiesa. Provo una grande riconoscenza verso il Signore per ciò che sta facendo per metterlo come modello di marito, di medico, di cristiano. La Comunità Regina Pacis continuerà il proprio cammino con un entusiasmo maggiore, per testimoniare Cristo seguendo le orme del proprio fondatore nella preghiera, nella vita fraterna e nel servizio ai più poveri».

Quali sono le linee fondamentali della spiritualità che suo marito ha vissuto e ci ha lasciato?

«Tutta la vita di Alessandro era centrata su Cristo, che per lui era “la piena realizzazione dell’uomo sotto tutti i punti di vista”. Desiderava vivere il Vangelo in radicalità, “senza strapparne neanche una pagina, perché allora dobbiamo buttarlo via tutto”. Da Cristo riceveva l’amore per mettersi al servizio dei malati, specie dei più poveri e dei lebbrosi, nella massima gratuità e senza limiti di orario, perché vedeva in loro sua madre, suo padre, suo fratello, i suoi figli. Anche in famiglia Alessandro esprimeva il suo amore nelle cose semplici e quotidiane: ogni mattina mi portava il caffè a letto prima di uscire per il lavoro, non mi lasciava pulire i pavimenti perché “è un lavoro da uomini”, diceva. E faceva tutto col sorriso e con la più profonda umiltà, sentendosi felice e indegno di servire, felice di poter esprimere così il suo amore a Cristo, alla sua famiglia e ai fratelli più bisognosi».

Suo marito Alessandro ha voluto servire il Signore nel matrimonio e da medico povero. Come è riuscito a portare avanti questa difficilissima vocazione. Lei e i vostri figli come avete collaborato alla sua missione?

«Con le sue scelte concrete di vita Alessandro ha davvero riconosciuto in Gesù “il tesoro nascosto nel campo”. Diceva che “il mondo è stanco di parole, c’è bisogno di fatti”. Così, per seguire Cristo, ha rinunciato a una sicura sistemazione come medico di famiglia subito dopo la laurea per partire per la missione in Brasile. Sempre per seguire Cristo, ha venduto il terreno che aveva ereditato e ha messo il ricavato, assieme a tutti i risparmi di famiglia, a disposizione del progetto della futura comunità. Non ha lasciato beni materiali alle nostre tre figlie, ma la possibilità di studiare fino alla laurea e la sua scelta radicale del Vangelo. E il Signore, come sempre, non si è lasciato vincere in generosità. Io ho sempre condiviso i suoi ideali fin dal tempo del fidanzamento, anzi Alessandro mi aveva affascinato proprio per il suo amore a Cristo. Così ho lavorato volentieri sette anni dopo il nostro matrimonio, per mantenere la famiglia e dare a lui la possibilità di studiare e diventare medico. Abbiamo condiviso nella più profonda unità la scelta di partire per la missione e di dar vita alla Comunità Regina Pacis. Questa unità è stata un dono che il Signore ha concesso alla mia famiglia anche dopo aver rapito in cielo Alessandro, un mese dopo l’inizio della Comunità: le tre figlie hanno condiviso la nostra chiamata e per me oggi è una gioia immensa vedere Chiara, Francesca e Miriam, con le loro famiglie, coinvolte nella vita e nella missione della Comunità».

Matteo Orlando

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