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Oggi, 10 febbraio, è il “giorno del Ricordo”. Ma cosa ricordiamo da quel 10 febbraio del 2005, la prima volta che venne celebrata tale giornata (istituita con legge l’anno prima)?

Il Giorno del ricordo, celebrato il 10 febbraio di ogni anno, è stato istituito con la legge n. 92 del 30 marzo 2004, e vuole conservare e rinnovare «la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle FOIBE, dell‘ESODO dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale».

Questo perché la storia dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia è italiana. Fu Giulio Cesare a fondare, dopo Trieste (Tergeste), le colonie di Pola (Pietas Julia) e Parenzo (Julia Parentium). Fu l’imperatore Augusto a portare i confini dell’Istria fino al Quarnaro e a creare le Decima Regio Venetia et Histria, che si espandevano dall’Oglio all’Arsa e dalle Alpi al Po. Trieste fu collegata a Pola attraverso la via Flavia che raggiungeva poi Fiume (Tarsatica). Gli antichi Romani lasciarono splendide testimonianze. A Trieste: il colle Capitolino e il teatro; A Pola: l’Arena; A Fiume: l’Arco; A Zara: il Foro; A Spalato: il palazzo di Diocleziano. Nel VI secolo d.C. le orde barbariche arrivarono anche nella X Regio romana. Gli istriani si rifugiarono sulle isole della costa. Sorsero Isola, Capodistria, Pirano, Rovigno, che furono collegate alla costa con ponti e istmi. Della prima presenza slava vi è traccia nel famoso Placitum del Risano dell’804, in cui i rappresentanti delle città istriane chiedono a Carlo Magno di liberarli dalla pirateria dei paganos
slavos.

Dall’800 iniziò l’espansione veneziana e Venezia si affermò in tutta la costa adriatica: nel 1150 il Doge assumeva il titolo di Totius Istriae inclitus dominator. Tra il 1400 e il 1600 più volte la peste si abbattè sull’Istria e sulla Dalmazia. Venezia ripopolò la regione importandovi migliaia di slavi, bosniaci, morlacchi (abitanti delle Alpi Dinariche). Da allora e fino alla fine del XVIII secolo la storia dell’Istria si identificò con quella di Venezia. Il dominio di Venezia ebbe fine nel 1797 con il trattato di Campoformido. Napoleone usò il suo prestigio per trattare la pace con l’Austria. E così l’Austria cedette al Corso il Belgio e riconobbe le conquiste francesi in Italia, ottenendo in cambio il Veneto. L’Istria e la Dalmazia passarono nelle mani dell’Austria che regnò, salvo la parentesi francese del Regno Napoleonico d’Italia, fino al 1918.

La vittoria della I Guerra mondiale, cui parteciparono da volontari migliaia di istriani e dalmati, e tra questi Nazario Sauro e Francesco Rismondo, portò a far parte del Regno d’Italia non solo Trento e Trieste, ma tutta la Venezia Giulia e dunque l’Istria con Pola, la città di Zara in Dalmazia, le isole di Cherso e Lussino, Lagosta e Pelagosa. Fiume fu annessa nel 1924. Con l’accordo del 10 febbraio 1947, imposto al termine della seconda guerra mondiale dalle potenze vincitrici, furono strappate l’Istria, Fiume e Zara e le isole della Dalmazia, all’Italia, consegnandole alla Jugoslavia di Tito che, intanto, si era preparato il terreno, già dal 1943, con le FOIBE.

Con le foibe si voleva eliminare l’etnia italiana nell’ambito dell’esodo istriano e ci si voleva vendicare contro gli oppositori politici (fascisti e non) del regime comunista guidato dal maresciallo generale Josip Broz Tito. Alla fine i morti sono stati tra 15 e 20 mila, comprese le vittime recuperate e quelle stimate, più i morti nei campi di concentramento jugoslavi.

Il nome “foiba” deriva da un termine dialettale utilizzato nell’area giuliana, che deriva a sua volta dal latino fŏvea e vuol dire FOSSA, CAVA. Con l’espressione infoibare si intendono gli eccidi ai danni della popolazione italiana dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia, accaduti durante la seconda guerra mondiale e nell’immediato dopoguerra. In questi grandi inghiottitoi carsici furono gettati molti italiani. In molti morirono prima di essere gettati nelle foibe: o nei campi di prigionia jugoslavi o durante la deportazione verso di essi

Chi furono gli infoibati? Erano uomini, donne e bambini che sparivano dalle loro case, dai loro affetti, senza distinzioni politiche, razziali ed economiche. Furono presi fascisti ed anti fascisti, cattolici (anche preti) ed ebrei, industriali, ma anche agricoltori, pescatori, dipendenti privati e servitori dello Stato come i Vigili del Fuoco, Carabinieri, Poliziotti e Finanzieri, dipendenti dei vari settori dell’amministrazione.

Più di 3 mila persone scomparvero nei gulag (campi di concentramento) di Tito. Goli otok, chiamata isola Calva, è una piccola isola rocciosa battuta dalla bora e quasi priva di vegetazione. È tristemente famosa per essere stata, nel secondo dopoguerra, sede di un campo di concentramento della Jugoslavia, destinato a ospitare gli oppositori al regime di Tito. Il campo ospitò detenuti politici anticomunisti, comunisti stalinisti e criminali comuni. Il totale dei detenuti politici sull’isola Calva può essere stimato in circa 16 mila, dei quali più di 400 trovarono la morte per torture o sfinimento. Gli italiani imprigionati a Goli Otok furono almeno 300. Tra di essi Sergio Bormè sopravvissuto alle torture del campo.

Per sfuggire agli infoibamenti del ’43 e del 45 in tanti tentarono la fuga, soprattutto via mare, per raggiungere la penisola. Così tra i 250 e i 350 mila italiani andarono via da quelle terre. Con l’accordo del 10 febbraio 1947, imposto al termine della seconda guerra mondiale dalle potenze vincitrici, all’Italia furono strappate l’Istria, Fiume e Zara e le isole della Dalmazia e furono consegnate alla nascente Jugoslavia, guidata dal dittatore comunista Tito. Per gli italiani scappati da quei territori e rientrati nella penisola oltre al danno ci fu anche la beffa. Avevano perso tutto ma, in varie città d’Italia, furono accolti malissimo. E, ancora oggi, nel 2023, attendono gli indennizzi per l’esodo subito!

In Italia, per molti anni, non si è potuto parlare di Foibe ed Esodo, perché? Quando Tito attuò lo strappo con l’URSS i governi occidentali lo considerarono un interlocutore che avrebbe fatto della Jugoslavia uno stato cuscinetto tra i due blocchi, orientale e occidentale. Fu ritenuto “politicamente corretto” non inasprire i rapporti con lui, rivangando la questione italiana. Inoltre, l’opinione pubblica italiana guardava con sospetto l’arrivo dei profughi, in un Paese distrutto e povero ed anche il Partito Comunista Italiano non volle parlare di quei fatti. Diventò facile dimenticare quella tragedia e rimuoverla anche dai libri di storia.

Relativamente alle foibe vogliamo ricordare la vicenda di Norma Cossetto la cui storia è paradigmatica, come per la Shoah lo è stata quella di Anna Frank. Vi consigliamo la visione di “Red Land”, film andato in onda ieri sera, 09 febbraio, su Raiplay.

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