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Ci sono poche parole che negli ultimi decenni sono state ripetute con tanta foga come la parola “inculturazione”. Questo concetto è stato usato per far passare ogni possibile esperimento come lecito, anzi addirittura necessario. La mia esperienza in Hong Kong mi da l’opportunità quindi di osservare in modo diretto come qui viene intesa l’inculturazione e naturalmente lo posso fare solo osservando dei campioni, non potendo partecipare ad ogni Messa celebrata nelle diverse chiese nell’ex colonia britannica. Faccio riferimento ad una Messa feriale celebrata la mattina presto, quelle Messe che di solito sono da noi le più sciatte e tirate via.
 
Ho partecipato a varie Messe nella stessa chiesa sita in una zona popolare di Hong Kong, una parrocchia esistente dagli anni ‘50 che si trova nello stesso edificio di una scuola. Infatti per accedere all’aula liturgica bisogna risalire per due rampe di scala. La chiesa è un’aula ampia, non particolarmente decorata e anzi con alcune delle strutture della costruzione in bella vista. Ma nell’insieme non mi ha dato quella impressione di rigetto che si prova di solito nelle chiese moderne in occidente. Mi è stato detto che in Hong Kong il cattolicesimo tende ad essere abbastanza progressista e penso anche la liturgia risenta di questo. In ogni caso, come detto, non posso dire che l’aula liturgica non fosse accogliente. I luoghi liturgici erano essenziali ma con un certo gusto ed eleganza. La partecipazione, anche alle 7.15 di mattina, era di circa 30-40 persone, forse alcuni erano insegnanti del collegio. C’era una signora che fungeva da “annunciatrice”, e da quello che potevo capire lo faceva in modo molto essenziale. Quella degli “annunciatori” liturgici è una piaga che conosciamo bene, ma almeno qui si limitava all’essenziale. I sacerdoti celebranti si limitavano a leggere i testi dei libri liturgici, non infarcendo la Messa di inutili commenti. Devo dire che una cosa che è risaltata, facendo degli ovvi paragoni con la nostra situazione occidentale, è che si percepiva una grande devozione e rispetto, al momento della consacrazione tutti si inginocchiavano così al momento prima della comunione. Qualche raro canto (Alleluia, mistero della fede, finale) punteggiava la celebrazione, che potevo vedere svolta veramente con grande sobrietà.
 
La comunione veniva sempre distribuita sotto le due specie. Il liturgista Roberto Gulino su Toscana oggi (12-2-2014) osserva che “ognuno può accostarsi a ricevere la comunione sotto la specie del pane e del vino – sia un laico, sia un ministro straordinario della comunione – ma senza avvicinarsi da solo al calice, ricevendolo dal sacerdote. Sempre al sacerdote spetta valutare l’opportunità pastorale di distribuire l’Eucaristia sotto le due specie, sapendo che questa possibilità favorisce la pienezza del segno rituale, ma non è necessaria per la verità della comunione sacramentale con il Signore”. Nelle Messe a cui io ho partecipato e di cui sto riferendo il calice era offerto da delle signore che indossavano una sorta di abito liturgico per distinguerle dal resto dell’assemblea. Vediamo alcune norme che regolano questo momento liturgico tratte dall’Ordinamento Generale del Messale Romano: “La santa Comunione esprime con maggior pienezza la sua forma di segno, se viene fatta sotto le due specie. Risulta infatti più evidente il segno del banchetto eucaristico, e si esprime più chiaramente la volontà divina di ratificare la nuova ed eterna alleanza nel Sangue del Signore, ed è più intuitivo il rapporto tra il banchetto eucaristico e il convito escatologico nel regno del Padre. I pastori d’anime si facciano un dovere di ricordare, nel modo più adatto, ai fedeli che partecipano al rito o che vi assistono, la dottrina cattolica riguardo alla forma della Comunione, secondo il Concilio Ecumenico di Trento. In particolare ricordino ai fedeli quanto insegna la fede cattolica: che, cioè, anche sotto una sola specie si riceve il Cristo tutto intero e il Sacramento in tutta la sua verità; di conseguenza, per quanto riguarda i frutti della Comunione, coloro che ricevono una sola specie, non rimangono privi di nessuna grazia necessaria alla salvezza (…). Il Vescovo diocesano può stabilire per la sua diocesi norme riguardo alla Comunione sotto le due specie, da osservarsi anche nelle chiese dei religiosi e nei piccoli gruppi. Allo stesso Vescovo è data facoltà di permettere la Comunione sotto le due specie ogni volta che sembri opportuno al sacerdote al quale, come pastore proprio, è affidata la comunità, purché i fedeli siano ben preparati e non ci sia pericolo di profanazione del Sacramento o la celebrazione non risulti troppo difficoltosa per il gran numero di partecipanti o per altra causa”.
Ora, il Vescovo locale sta tentando di regolare questa materia in modo che essa non sia fonte di problemi. Una circolare ufficiale dell’ufficio liturgico della diocesi (dicembre 2017) informa che i ministri straordinari devono amministrare il Sacramento con diligenza e cura e essere sempre attenti alla propria formazione liturgica. Quindi i ministri sono invitati ad attendere regolari corsi di formazione. Osservo che, non essendoci una assoluta necessità di ricevere sempre la comunione sotto le due specie, forse si potrebbe limitare questo atto solo a particolari celebrazioni e non alle messe feriali, proprio per dare importanza all’atto stesso.
 
Comunque, ribadisco che c’era una impressione di grande dignità e rispetto in chi partecipava, il che mi sembra già una cosa che va molto apprezzata.
 
Aurelio Porfiri

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