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Nasce il “Movimento giuridico femminile contro la ginecofobia”, promosso da don Massimo Lapponi con l’obiettivo concreto di ottenere l’introduzione, nella legislazione nazionale e internazionale, del reato di ginecofobia e l’obiettivo più vasto di difendere in ogni sede opportuna, a tutti i livelli, i diritti inalienabili della donna.

Con il seguente testo, il sacerdote spiega i motivi della nascita del nuovo movimento.

“La Don Lapponiragione addotta per sostenere che due uomini o due donne possono sposarsi tra loro e adottare figli è che la tendenza sessuale non avrebbe un legame naturale con il dato biologico, ma sarebbe un fattore autonomo che ha diritto di attuarsi secondo la scelta di ciascuno. La stretta connessione della tendenza sessuale con il dato biologico sarebbe soltanto una convenzione socio-culturale legata a situazioni e a pregiudizi sociali patriarcali ormai superati (teoria del gender).

Il fatto di essere “donna” nel senso tradizionale, che legava insieme struttura biologica, naturale tendenza alla vita in comune con il partner maschile – intesa in senso non soltanto fisico, ma anche psichico e spirituale, quale integrazione di esseri complementari a tutti i livelli – maternità fisica e maternità spirituale, non avrebbe riscontro nella realtà, ma non sarebbe che una costruzione socio-culturale che la società di oggi deve rifiutare come non fondata in natura e perciò fonte di reazione e di discriminazione verso altri modi di essere e di sentire e di esercitare la sessualità.

In questa prospettiva il vincolo matrimoniale che unisce un uomo a una donna non sarebbe qualitativamente diverso o in alcun modo privilegiato rispetto al vincolo matrimoniale che unisce due uomini o due donne, ovvero anche più persone dell’uno o dell’attro sesso. E se non c’è differenza qualitativa e privilegio, ovviamente non vi sarà alcun legame materno/paterno qualitativamente diverso fra una coppia biologicamente feconda e il figlio fisicamente da essa generato rispetto a quello che si crea fra due (o al limite più) persone dello stesso sesso e il figlio a loro affidato per adozione o generato per loro o per uno di loro in qualsiasi altro modo.

Se questo modo di intendere la sessualità, il matrimonio e la filiazione è corretto e fondato nella realtà, allora è obbligo che fin dalla più tenera età esso si insegni ai bambini. Dunque si dirà loro che essere donna (o uomo) non è un dato di natura, bensì una scelta psichica. Essi saranno perciò invitati a scrutare la propria tendenza e a incominciare al più presto a fare, riguardo ad essa, una libera scelta – eventualmente anche verso forme di tendenza sessuale varie e non catalogabili secondo le obsolete categorie uomo/donna.

In tal modo si sradicherà dalla loro psiche il pregiudizio che essere donna (o uomo) sia un fatto naturale dal quale discenderebbe il privilegio di essere la vera naturale partner dell’altro “sesso naturale” e la vera unica generatrice, e perciò madre, nutrice ed educatrice, della prole. Questo pregiudizio dovrebbe essere eliminato sul nascere, poiché sarebbe causa di discriminazione verso altri orientamenti sessuali, per i quali ovviamente, in detta prospettiva, il ruolo di coniuge, padre e madre non potrebbe essere considerato se non “contro natura”. Dunque fin dall’infanzia i bambini dovrebbero essere avviati a considerare del tutto normale la trasizione dal genere tradizionalmente legato al sesso biologico al genere liberamente scelto – cioè dal genere femminile al maschile, o viceversa, ovvero dall’uno o l’altro a un nuovo genere di libera scelta – eventualmente anche con l’ausilio di cure ormonali o di interventi chirurgici.

Un altro pregiudizio che dovrebbe essere sradicato fin dall’infanzia è che il bambino avrebbe bisogno, per crescere psichicamente sano, delle figure tradizionali del “padre” e della “madre”, cioè dell’uomo e della donna biologici. Se fosse così, ovviamente si reintrodurrebbe il privilegio della “donna biologica” rispetto ad altre figure parentali. Ma ciò sarebbe causa di discriminazione e perciò violazione di diritti di una o più categorie. Non potendosi tollerare discriminazioni verso alcun gruppo particolare, diverso o minoritario in una società moderna e democratica, bisogna che i bambini siano educati fin dalla più tenera età a considerare del tutto uguale la convivenza di minori con due persone di sesso diverso e la convivenza di minori con due (o più) persone dello stesso sesso, senza discriminazioni. Se poi la condizione omosessuale – o eventualmente altra – non è più da considerare “innaturale”, non sarà proponibile alcun percorso “terapeutico” per il ritorno ad una condizione cosiddetta “eterosessuale”.

Ovviamente ogni transizione sarebbe lecita, purché sia ben chiaro che non c’è una condizione “naturale” privilegiata alla quale ci si debba orientare, e che perciò chi detiene una condizione di genere che coincide con quella biologica sia persuaso che può ritenerla esclusivamente come libera scelta e non come condizione naturale, e che dunque deve accettare il principio di poter transire, aiutato eventualmente dagli adulti di lui/lei responsabili, anche con opportune terapie, a qualsiasi altro orientamento.

Poste queste premesse, il movimento omosessuale denuncia di essere discriminato quando: 1. Si considera lo stato psichico omosessuale innaturale, cioè non corrispondente alla natura obiettiva. 2. In conseguenza di ciò si propone all’omosessuale di attuare percorsi di transizione dalla sua condizione alla condizione eterosessuale, considerata come “naturale”. 3. Si vorrebbero distinguere come qualitativamente diverse le unioni propriamente matrimoniali tradizionali tra un uomo e una donna dalle unioni omosessuali tra persone dello stesso sesso. 4. Si vorrebbe impedire alle unioni omosessuali l’adozione di bambini con la qualifica, corrispondente alla condizione reale, di “figli”. Chi sostiene questi punti, che il movimento omosessuale considera discriminatori, si rende colpevole, a loro giudizio, del “reato” – o già introdotto o in via di introduzione nelle legislazioni nazionali – di “omofobia”.

Al movimento omosessuale si oppone il “Movimento giuridico femminile contro la ginecofobia”. Esso adopera gli stessi argomenti del movimento omosessuale per dimostrare che ad essere discriminata non è la piccola minoranza costituita dagli omosessuali, bensì, ciò che è assai più grave, l’immensa maggioranza costituita dalle donne di tutto il mondo.

Questa discriminazione avviene: 1. Quando si considera lo stato bio-psichico femminile innaturale, cioè non corrispondente alla natura obiettiva ma puro frutto di convenzioni socio-culturali – “stereotipo e pregiudizio”, secondo la terminologia usata dai gay. 2. In conseguenza di ciò si propone alla donna, fin dall’infanzia, di attuare percorsi di transizione dalla sua condizione biologico-tradizionale – cioè secondo i principi sopra esposti puramente convenzionale – ad un’altra condizione da scegliere liberamente. E la stessa scelta di rimanere nella propria condizione dovrebbe essere esplicitamente intesa come transizione ad una condizione diversa da una condizione che potesse essere sentita come “naturale” – la quale andrebbe “decostruita”, per usare l’esplicita terminologia dei gay. 3. Quando si pretende di equiparare il matrimonio naturale tra l’uomo e la donna ad una unione che in nessun modo può avere i caratteri della convivenza fisico-spirituale tra due esseri complementari. A monte di questa equiparazione vi è, infatti, il rifiuto dell’essere della donna come realtà bio-psichica. Quindi da detta equiparazione deriva che l’essere proprio della donna risulta discriminato ed umiliato rispetto all’essere dell’omosessuale, al quale esso viene assimilato, con la perdita di tutti i caratteri e i diritti propri. 4. Tra questi caratteri e diritti vi è principalmente quello di essere considerata, come di fatto la donna è, quale vera e sola procreatrice, nutrice ed educatrice, in piena armonia con il suo partner maschile, della prole, per mezzo della quale in tutto il mondo si rinnovano le generazioni del genere umano. Posto il principio che i figli non hanno bisogno, per una crescita sana, delle figure del padre e della madre, ne risulta che una madre, il cui coniuge separato abbia scelto di convivere con una o più persone del suo stesso sesso, può vedersi negato il rapporto naturale con la sua propria prole, essendo giudicata la sua figura femminile/materna come insignificante.

In base a questi argomenti – che sono gli stessi addotti dal movimento omosessuale – appare evidente che le donne di tutto il mondo rischiano di essere discriminate rispetto alla minoranza degli omosessuali che si riconoscono nel suddetto movimento. Infatti: 1. Lo stato psichico degli omosessuali risulta naturale; al contrario, lo stato bio-psichico femminile risulta innaturale e di pura costruzione socioculturale, “stereotipo e pregiudizio”. 2. Come fatto naturale, lo stato psichico omosessuale è intoccabile, tanto che non si possono lecitamente proporre percorsi di cambiamento di tendenza; al contrario, lo stato bio-psichico femminile è liberamente manipolabile, tanto che fin dall’infanzia si dovrebbero prospettare percorsi di riorientamento sessuale, tra i quale ricade la stessa “scelta” di “ridiventare” donna – “donna” ovviamente non nel senso naturale tradizionale (“decostruzione degli stereotipi e pregiudizi”)! 3. Nella stessa misura in cui l’omosessuale acquisisce diritti matrimoniali imitati da quelli del matrimonio tradizionale, la donna si vede ridotti i medesimi diritti dalla dignità di espressione di complementarità fisico-spirituale fondata sull’essere naturale, ed eventualmente sulla creazione divina, a pura espressione sessuale-affettiva di libera scelta soggettiva. E’ evidente che la prima situazione implica una missione con i suoi privilegi e i suoi obblighi, mentre la seconda si riduce a fatto soggettivo, obiettivamente privo di significato, mutevole e senza obblighi spiritualmente fondati. 4. Forse il punto di più grave discriminazione è l’equiparazione dei diritti sulla prole dell’omosessuale che porta avanti questa pretesa e della donna che è vera generatrice della vita umana. E’ ovvio che un omosessuale, che non è e non può essere generatore della vita umana insieme al suo partner, non può avere, nei confronti della “prole” se non un rapporto imitato, artificiale e semplicemente legalizzato da una legge statale.

Ora, con l’equiparazione dei diritti, la madre naturale non potrebbe avere verso la sua propria e vera prole altri diritti diversi da quelli pretesi dall’omosessuale. Lo Stato potrebbe, perciò, assumere le medesime misure, in campo educativo, verso le une e le altre situazioni, visto che sono state equiparate, e una donna non potrebbe vantare alcun privilegio, per il suo rapporto con la sua propria prole, in qualsivoglia circostanza nei confronti di qualsiasi altro tipo di rapporto venga instaurato tra adulti responsabili e minori. Se da ciò appare evidente la discriminazione nei confronti della donna e la violazione dei suoi diritti, non meno evidente appare il danno immenso e irreparabile nei confronti di figli che si trovano in situazioni innaturali, e perciò nei confronti di tutto il genere umano e del suo avvenire.

Chi dunque si allinea con le pretese di equiparazione del movimento omosessualista – pretese che, come si è visto, equivalgono ad una gravissima discriminazione non verso una minoranza, bensì verso la maggioranza costituita da tutte le donne del mondo, che ammontanto a più della metà del genere umano – si macchia del reato, non ancora introdotto ma da introdurre nella legislazione delle nazioni civili, di “gienecofobia”.

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