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Mons_20141216085928841713_20141226180917413312«Penso che ci sarà Vatileaks 3-4 ed è qualcosa di tremendo. È stata accusata una persona dell’Opera, un sacerdote della Società Sacerdotale della Santa Croce; è dell’Opera anche se non è incardinato nell’Opus Dei e quindi ha come unico superiore il suo vescovo e i suoi superiori nel lavoro. Cosa possiamo fare noi? Possiamo pregare. Voleva fare un favore al papa? Non lo so. Ma se si dimostra la sua colpevolezza, sicuramente i mezzi usati non sono stati giusti; sono sicuro che per il Papa sarà stato un grandissimo dolore. Il Prelato ha incontrato il Papa e ha voluto manifestare la sua unità al Santo Padre e manifestare il suo dolore. Nell’Opus Dei siamo persone del tutto normali e sbagliamo come gli altri. E quando sbagliamo dobbiamo tentare di convertirci. Noi dobbiamo essere vicini alle persone che soffrono e anche a chi ha chiaramente sbagliato. Bisogna pregare per la Santa Sede, perché lì ci sono persone bravissime, ma come diceva il Papa in Kenya la corruzione può essere ovunque, è un problema universale, purtroppo anche per il Vaticano». Monsignor Mariano Fazio, vicario generale dell’Opus Dei, nei giorni scorsi è stato ospite della residenza universitaria Monterone di Napoli. Un incontro con i residenti e con molte altre persone che frequentano le attività formative dell’Opus Dei nella città di Napoli, durante il quale ha affrontato vari argomenti.

Oltre al Vatileaks mons. Fazio ha ricordato il suo primo incontro con Papa Bergolio. «Conosco Jorge Bergoglio da quand’era vescovo di Buenos Aires. È rimasto uguale, anzi, da Papa è addirittura migliorato, perché in Argentina non sorrideva così spesso. Il primo incontro con l’arcivescovo Bergoglio fu nell’anno 2000 quando andai da lui a presentare i corsi della Pontificia Università della Santa Croce. Lui la conosceva già, e mi confidò la sua devozione per Josemaría Escrivá. Trovai una persona cordiale e attenta, che mostrava interesse per la formazione dei sacerdoti. Lo rividi poi quando veniva a Roma, e il suo atteggiamento è stato sempre amichevole. Nel 2007 ho avuto occasione di approfondire la sua conoscenza, quando ad Aparecida, un santuario mariano brasiliano, ci fu la 5a Conferenza generale del Consiglio episcopale dell’America Latina, alla quale partecipai come perito. Mi fecero alloggiare con i vescovi argentini, e fui con loro per una ventina di giorni. Entrai così in confidenza con il futuro papa, che mi raccontò dei suoi problemi di salute in gioventù, quando colse il senso ultimo della sofferenza, partecipare cioè ai dolori di Cristo. E nell’omelia che fece lì ad Aparecida sentii quei concetti adesso a tutti noti, come la missione verso le periferie, la cultura dello scarto, ecc. Vidi una persona al centro dell’attenzione, nonostante non si mettesse mai in mostra, e che sapeva bene conciliare persone di diverse sensibilità. Ci incoraggiò a portare avanti una scuola per ragazze – la scuola del BuenConsejo – in un quartiere molto povero di Buenos Aires, vicino alle baraccopoli. Adesso è frequentato da 900 ragazze e il cardinale Bergoglio lo ha visitato varie volte. Un’altra volta gli parlai del film There be dragons, nel quale uno dei personaggi è san Josemaría e che fu girato a Buenos Aires. Lui non aveva tempo per vederlo, e aggiunse che da qualche tempo si era impegnato con la Madonna a non vedere neanche la televisione, da quando cioè si era trovato davanti un programma immorale. Tuttora non guarda neanche le partite di calcio, sono le guardie svizzere che lo informano se il suo San Lorenzo ha vinto o ha perso. La sua conversazione è sempre apostolica, sulla linea di quella “Chiesa in uscita” di cui parla spesso e che va sempre unita a un’attenzione per le singole persone, per la sorte delle loro anime. La prima volta che lo incontrai da Papa fu nel settembre 2014. Santa Marta è come un albergo, fuori dell’appartamento papale c’è un tavolino con sopra un’immagine di san Giuseppe che sta dormendo. È il suo santo preferito e lì mette dei bigliettini con le sue intenzioni. Il suo appartamento è costituito da una stanza da letto, uno studio, e un salotto nel quale riceve le persone. Quel giorno parlammo quasi un’ora e mi raccontò delle sue intenzioni di fare una profonda riforma della curia romana, iniziando dalla parte economica, perché – mi disse – su queste cose dobbiamo dare esempio. Io lo ringraziai per una bella lettera che aveva scritto in occasione della beatificazione di Álvaro del Portillo, e gli raccontai delle iniziative apostoliche dell’Opera in Argentina e in altri paesi dell’America latina. In particolare gli mostrai le fotografie di una scuola per bambini che sta nascendo a Buenos Aires. Gli confidai poi una mia preoccupazione: vedevo molte persone che lo amavano e che allo stesso tempo erano critiche verso Benedetto, e molte altre con sentimenti al contrario, perché evidentemente c’era stato un cambiamento di stile. Ho una teoria – gli dissi – che invece vi vedrebbe uniti, e cioè che la cultura dello scarto (punto forte del pensiero di papa Francesco) è una conseguenza della dittatura del relativismo, denunciata da papa Benedetto. Quindi se manca una verità oggettiva ciascuno fa come vuole e inevitabilmente tratterà persone e cose secondo criteri utilitaristici: i più forti tenderanno a mettere da parte i più deboli. Lui si trovò d’accordo. Da quando poi sono stato nominato vicario generale dell’Opus Dei sono stato a trovarlo varie volte, e sempre sono tornato a casa molto arricchito. L’Opus Dei è sempre stata molto vicina al Papa, chiunque egli fosse. Una delle giaculatorie che san Josemaría ripeteva spesso era “Omnescum Petro ad Iesum per Mariam”. Nelle lettere che il Prelato scrive ai suoi figli ogni mese ci sono sempre riferimenti a papa Francesco. Quando nel dicembre scorso venni nominato vicario generale dell’Opus Dei chiesi di nuovo un’udienza al Papa, ma con poche speranze perché ci eravamo visti pochi mesi prima. E invece mi arrivò subito una mail di risposta del suo segretario: “Il Papa la riceve domani alle 18”. Così gli raccontai dei cambiamenti nel governo dell’Opus Dei: il Prelato adesso avrebbe avuto un aiuto in più nel suo lavoro dal vicario ausiliare, e tutto ciò era dovuto anche alle parole che lui aveva rivolto al Prelato: “Abbia cura di lei” (in spagnolo una sola parola: cuidese). “Ma la mia era solo una battuta – mi rispose il Papa – il Prelato è molto umile”. Cosa vuole che faccia da vicario generale dell’Opus Dei? – gli chiesi, e la sua risposta fu molto semplice: “Obbedisci al Prelato”».

A proposito del giubileo della Misericordia il vicario dell’Opus Dei ha ricordato che «è illuminante il motto scelto da Francesco per il suo pontificato “Miserando atque eligendo”, che lui ha tratto da un’omelia di san Beda il venerabile contenuta nella Liturgia delle Ore della festa di san Matteo, il 21 settembre. Cioè il giorno in cui tanti anni fa Jorge Bergoglio sentì la sua vocazione al sacerdozio. Beda racconta che Gesù vide Matteo con occhi di misericordia e poi lo scelse come apostolo. Questo è l’atteggiamento che ha sempre il Signore nei nostri confronti: ci riempie della sua misericordia e ci chiama a una vocazione. L’idea della misericordia divina è quindi nel fondo del cuore di papa Francesco. Nelle Scritture la misericordia è una delle definizioni più chiare di chi è Dio: Dio è amore, e l’amore è misericordia. In questi tempi di paura, nei quali la misericordia sembra dimenticata, abbiamo più che mai bisogno di ricorrere a questa risorsa divina. Il Papa parla molto della Confessione – forse è il Papa che ne ha parlato di più – e lo fa in modo molto diretto, frutto evidente di una grande esperienza pastorale. Bisogna sempre perdonare. C’è un rapporto complesso tra perdono e giustizia. La grande manifestazione di misericordia è perdonare tutti di cuore e il Signore ci chiede questo ogni volta che recitiamo il Padre nostro. Perdonare di cuore alle volte, però, non è facile. Per farlo bisogna da una parte avere la grazia di Dio che ci dà un cuore grande, e dall’altra ricordare che il Signore ci perdona sempre e quindi noi dobbiamo perdonare gli altri. Perdonare non significa non chiedere giustizia. E’ corretto che in una società civile ci siano delle basi giuste: giustizia e misericordia. Dice il Papa che solo con la giustizia non si possono risolvere le situazioni problematiche perché c’è bisogno anche della misericordia. La giustizia ha un ruolo complementare alla misericordia. Se vogliamo il perdono del Signore dobbiamo perdonare a nostra volta».

Matteo Orlando

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