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Non c’è alcuna apertura al suicidio medicalmente assistito, non esiste alcuno sdoganamento. E’ quanto sottolinea don Roberto Colombo, membro della Pontificia Accademia per la Vita e professore di neurobiologia e genetica umana all’Università Cattolica di Milano, intervistato da Federico Piana di Radio Vaticana Italia.

Commentando il parere del Comitato Nazionale per la Bioetica, pubblicato ieri, con il quale si mette in evidenza la differenza tra suicidio assistito ed eutanasia e si raccomanda “l’impegno di fornire cure adeguate ai malati inguaribili in condizioni di sofferenza”, don Colombo spiega: “Si tratta di un documento che fotografa lo stato della discussione ancora in atto. Non c’è alcuna indicazione in nessun senso, né al Parlamento né ad altri soggetti politici, come invece molti organi di informazione hanno voluto far credere. C’è stata una lettura forzata del testo”.

In effetti, il documento ha inteso solo fornire al legislatore una riflessione articolata sul tema, dando conto dei tre orientamenti emersi: 13 membri del Comitato favorevoli alla legalizzazione del suicidio assistito in nome del principio etico di autodeterminazione, 11 membri contrari, considerando un’eventuale legittimazione del suicidio assistito “un vulnus irrimediabile al principio secondo il quale compito primario e inderogabile del medico sia l’assoluto rispetto della vita del paziente”, e infine altri 2 membri contrari al suicidio assistito, ma sottolineando che la libertà di autodeterminazione possa manifestarsi solo “in un contesto concreto in cui i pazienti godano di un’effettiva e adeguata assistenza sanitaria, ove possano accedere a tutte le cure palliative praticabili – compresa la sedazione palliativa profonda – e nel quale siano supportati da una consona terapia medica, psicologica e psichiatrica”. Il potenziamento della terapia del dolore e delle cure palliative – secondo questa terza posizione – “non possono eliminare del tutto le richieste di assistenza medica a morire, ma potrebbero ridurle in maniera significativa, escludendo quelle dettate da cause legate ad una sofferenza alleviabile”.

Don Colombo risponde anche a quanti hanno interpretato la distinzione tra suicidio medicalmente assistito ed eutanasia come un via libera alla sua approvazione: “Il Comitato, analizzando la questione, ha fatto delle distinzioni che hanno un significato nell’ambito della normativa giuridica. Ma dal punto di vista morale, oggettivo, non esiste differenza tra eutanasia e suicidio medicalmente assistito. Sono entrambi da rifiutare perché portano la morte. L’Enciclica Evangelium Vitae di San Giovanni Paolo II è chiara”.

Però, l’ambiguità del documento, che non prende una posizione chiara ma lascia aperte tutte le ipotesi, potrebbe permettere al legislatore – afferma don Colombo – di aprire ad una depenalizzazione del suicidio medicalmente assistito in alcune circostanze per poi arrivare alla piena legalizzazione di ogni atto eutanasico: “E’ lo stesso Comitato che in una parte del documento ha sottolineato questo pericolo. Il crinale è molto ripido: esiste una lama sottile che separa la depenalizzazione di un atto illecito dalla legalizzazione dell’atto stesso che lo renderebbe giuridicamente lecito”. E conclude: “A noi preme sottolineare che condividere l’intenzione suicida di un altro, o aiutare a realizzarla mediante il cosiddetto suicidio assistito, in realtà significa farsi collaboratore o qualche volta attore in prima persona di una grave ingiustizia che non può mai essere giustificata neppure quando fosse richiesta dall’interessato”.

 


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