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Inutile negarlo che nell’emergenza Coronavirus ne abbiamo un’ altra chiamata migranti. Spesso invisibili o senza controllo sanitario, potenzialmente (non per loro responsabilità) potrebbero risultare una bomba sanitaria. Ne parliamo con don Gianni De Robertis, barese, Direttore della Migrantes della Cei.

Don Gianni esiste, relazionato con il Coronavirus, il problema non da poco, dei migranti...

“Prima di tutto vorrei segnalare un’ altra emergenza che passa inosservata o quasi, ma che è molto seria”.

Quale?

“I circensi sono alla fame, alla pari dei giostrai. I circensi sono quelli che lavorano nei circhi e come è evidente sono fermi per la vigente normativa anti virus. In Italia si calcola che sono circa 4.000 unità. A questi aggiungo coloro che si occupano delle giostre nei luna park, molti sono sinti e si tratta di oltre 10.000 persone. E’ il popolo che anima le nostre sagre, le feste paesane, le manifestazioni popolari. Anche queste ultime sono ferme. Questa fascia di gente che non ha protezione sociale soffre letteralmente la fame”.

In tv hanno mostrato anche migranti africani contagiati dal Coronavirus in spazi angusti, tutti assieme…

“Bisogna evitare che questo accade per il benessere di tutti, dei migranti e della popolazione. Penso che una soluzione possa utilizzare gli spraar, mandarli scaglionati in centri piccoli e soprattutto decongestionare quei posti dove alloggiano con alta densità”.

Campagne con scarsi braccianti..

“Ce ne accorgiamo adesso della importanza degli stranieri in agricoltura quando bulgari e rumeni sono tornati ai loro Paese. Oggi nelle nostra campagne lavorano solo africani. Speriamo che questo serva per capire che ci sta un mondo di invisibili e che bisogna agire al più presto per arginare il fenomeno del caporalato”.

In Italia sono arrivato molti medici da fuori..

“E’ la prova della solidarietà e di un mondo migliore di quello che si può pensare.. La presenza generosa di medici che arrivano da paesi come Cuba, Albania e via discorrendo è la dimostrazione chiara che siamo tutti sulla stessa barca e che nessuno può tirarsi fuori”.

Bruno Volpe

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