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Dobbiamo metterci d’accordo una volta per tutte e decidere che cosa andiamo a fare a Messa. Ora, io so che molte idee sono state presentate a questo riguardo, alcune meno condivisibili di altre. Mi sento di dire con un certo grado di sicurezza che tra le cose che sicuramente la Messa non è, c’è quella che ha a che fare con la verbosità di certi sacerdoti. Ora, cosa dice l’Ordinamento Generale del Messale Romano?

“50. Terminato il canto d’ingresso, il sacerdote, stando in piedi alla sede, con tutta l’assemblea si segna col segno di croce. Poi il sacerdote con il saluto annunzia alla comunità radunata la presenza del Signore. Il saluto sacerdotale e la risposta del popolo manifestano il mistero della Chiesa radunata. Salutato il popolo, il sacerdote, o il diacono o un ministro laico, può fare una brevissima introduzione alla Messa del giorno”.

Quindi, questa è solo una possibilità ma, seguendo lo stile consueto del post concilio, si da un dito con l’obiettivo che poi ci si prenda il braccio. Purtroppo, queste “brevissime” monizioni, divengono il pretesto spesso per fare una pre omelia, con la gente in piedi a sorbirsi spiegazioni su cose che non si sono ancora lette. L’OGMR, un poco prima approfondiva questa questione: “31. Spetta ugualmente al sacerdote, per il suo ufficio di presidente dell’assemblea radunata, formulare alcune monizioni previste nel rito medesimo. Quando è previsto dalle rubriche, al celebrante è permesso adattarle in parte affinché rispondano alla comprensione dei partecipanti.

Tuttavia il sacerdote faccia in modo di conservare sempre il senso della monizione proposta nel Messale e la esprima con poche parole. Così pure spetta al sacerdote che presiede guidare la proclamazione della parola di Dio e impartire la benedizione finale. Egli può inoltre intervenire con brevissime parole, per introdurre i fedeli alla Messa del giorno, dopo il saluto iniziale e prima dell’atto penitenziale; alla Liturgia della Parola, prima delle letture; alla Preghiera eucaristica, prima di iniziare il prefazio, naturalmente mai nel corso della Preghiera stessa; prima del congedo, per concludere l’intera azione sacra”. Purtroppo in questo caso le rubriche aprono autostrade per coloro che vogliono approfittarsi della libertà che gli viene concessa. Si pensa che tutti i celebranti siano in buona fede, ma basterebbe fare un giro per le parrocchie per osservare che così non è.

Riccardo Barile così spiega: “Le monizioni sono adattamenti in vista non solo del buon spirito liturgico, ma dell’efficacia pastorale(OGMR 23s.) e sono relative all’assemblea, tanto che si tralasciano nella messa «solitaria» (OGMR 254). La loro discreta presenzacrea un clima dì famiglia e anche di comunicazione più personale tra il presidente e l’assemblea, altrimenti la celebrazione rischia di risultare asettica e anche decontestualizzata. Anzi, nelle monizioni «la voce deve corrispondere al genere del testo» (OGMR38): più vicina al microfono, leggermente più bassa di tono, più confidenziale, ecc. per avviare poi al tono più oggettivo dell’eucologia e delle letture e all’armonia della gestualità rituale” (Spiegare o celebrare? in http://dimensionesperanza.it/aree/formazione-religiosa/liturgia/item/7920-spiegare-o-celebrare?-riccardo-barile.html). Ma il rito non dovrebbe parlare per se stesso? Non si diceva che grazie la riforma liturgica il popolo finalmente poteva capire? E come si può dire che capisce quando si deve continuare a dare spiegazioni ad ogni momento della Messa? Quindi, se la Messa è “decontestualizzata” se non vengono offerte le monizioni, significa che esse sono il “contesto” di ciò che la Messa è, piuttosto che quello che viene compiuto dal rito stesso? Ma il rito non è efficace in se stesso, ex opere operato, e non ex opere operantis? Queste spiegazioni, preparate o improvvisate, sono a mio avviso più un ostacolo che un aiuto alla partecipazione.

L’ufficio liturgico della Diocesi di Torino avverte: “Non sempre è opportuno proporre all”assemblea monizioni e/o introduzioni alla letture. La prassi insegna che, lì dove è diventata un”abitudine, spesso finisce per non costituire più valido stimolo alla comprensione dei testi proclamati. Sembra essere più opportuno un uso saltuario: in alcune particolari circostanze (battesimi, prime comunioni, inizio anno pastorale ecc) o in determinati tempi liturgici. Ci sembra molto più efficace favorire l”ascolto dell”assemblea attraverso la formazione dei lettori, la cura dei giusti tempi di silenzio, la valorizzazione del salmo responsoriale, la qualità dell”impianto di amplificazione”. Ora, a parte alcune delle osservazioni qui proposte dai responsabili dell’ufficio liturgico, si potrà vedere come anche loro, usando un linguaggio diplomatico, si rendono conto che questo spezzettamento del rito non fa bene al rito e tantomeno ai fedeli.

Aurelio Porfiri

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