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In foto, da sinistra: mons. Dario Edoardo Viganò, Simona Ercolani, Riccardo Bocca, padre Francesco Occhetta, Stefano Coletta

La produttrice televisiva Simona Ercolani è tornata stamani in ospedale in veste di autrice del libro “I ragazzi del Bambino Gesù” che traduce in racconto letterario il fortunato documentario in 10 puntate andato in onda su Rai3. Un esperimento e anche un rischio quello di raccontare il percorso al Bambino Gesù di 12 ragazzi – Roberto, Caterina, Annachiara, Giulia, Sabrina, Klizia, Flavio, Simone, Alessia, Sara, Letizia e Ginevra – alle prese con l’evento sconvolgente della malattia, ma che risponde a un preciso obiettivo. “In nessun caso – ha affermato la presidente dell’Ospedale Mariella Enoc introducendo la presentazione del libro in aula Salviati – avremmo consentito ad usare l’immagine del bambino sofferente per suscitare pietà, ma, al contrario, per dimostrare con quanta forza e coraggio ragazzi e famiglie sono capaci di affrontare la malattia e fare appello alla solidarietà di tutti. Questo è il senso del servizio al Bambino Gesù in cui tutti crediamo e ci riconosciamo”.

Un modo per ringraziare tutta la comunità del Bambino Gesù, ha definito il libro l’autrice Simona Ercolani che per le riprese del documentario ha frequentato l’Ospedale per un anno e mezzo incontrando la più ampia disponibilità di personale medico e famiglie e sperimentando un clima che: “mette al centro la persona e non il malato”. “Alla fine del ‘viaggio’ – ha affermato Simona Ercolaniera chiaro che nel percorso della malattia sono importanti l’affetto di cui si è circondati e la ricerca scientifica che trova sempre nuove strade per ridare salute. Per questo il ricavato dei diritti d’autore del libro sono destinati alla ricerca scientifica del Bambino Gesù”.

Il grande merito della serie tv e del libro, ha sottolineato il moderatore dei lavori, il giornalista e critico televisivo Riccardo Bocca, è quello di aver affrontato il tabù delle malattie e del dolore infantili senza “far scadere l’emozione in pornografia” ma “rinunciando alla manipolazione a favore della condivisione”.

“Quando ci si trova di fronte alla diagnosi di una malattia grave – ha affermato mons. Dario Edoardo Viganò, prefetto della Segreteria per la comunicazione della Santa Sede e autore dell’introduzione a “I ragazzi del Bambino Gesù” (guarda anche la videointervista di seguito) – si prende consapevolezza del limite umano, dell’essere un ‘non-tutto’. Però attraverso la cura e l’affetto si capisce anche che non si è un ‘niente’. Di fronte al dolore dei bambini papa Francesco invita a non chiedersi ‘perché’, una domanda per la quale nessuno ha risposte, ma ‘per chi’, aprendo alla contemplazione del Crocifisso che mostra la via per dare senso a questa esperienza umana”.

Dare senso e speranza al dolore, specialmente dei più piccoli, è uno sforzo che coinvolge non solo la famiglia in senso stretto dei pazienti, ma tutta la comunità ospedaliera – la “famiglia del Bambino Gesù” – di cui ha parlato Papa Francesco nell’udienza privata ai ragazzi del documentario. “Personalizzazione della cura e presa in carico della comunità” sono per padre Francesco Occhetta, scrittore de La Civiltà cattolica intervenuto alla presentazione in aula Salviati, i cardini del concetto di salute così come immaginato dai padri della Costituzione nell’art. 32. “Non dobbiamo cadere nella trappola della cultura attuale – ha sottolineato il gesuita – che si occupa solo della salute e del benessere di chi non è malato, ma occuparci della ‘salute nella malattia’ prestando attenzione a tutte le dimensioni della persona che resta tale anche quando è malata”.

“Per la televisione – ha affermato il direttore di Rai3, Stefano Coletta annunciando una nuova serie de “I ragazzi del Bambino Gesù” (guarda anche la videointervista di seguito) – il tabù più difficile da superare è quello del dolore e della morte. In questa serie abbiamo cercato di raccontare con autenticità i legami affettivi più stretti quando la malattia irrompe nella vita delle famiglie. Gli ascolti sono stati significativi, specie tra i più giovani. La speranza è che oltre a veicolare informazione e conoscenza – che è il compito della televisione – siamo riusciti a portare anche consolazione alle tante famiglie che vivono queste situazioni”.

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