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Accade, talvolta, di leggere su Facebook post che stillano livore ed odio: stupisce ed indigna constatare che vengono scritti da persone che, per compito peculiare della professione esercitata, dovrebbero suscitare ben altro clima sociale e prodigarsi per promuovere più elevati e nobili sentimenti, vista la delicatezza, la fragilità dei soggetti coi quali si trovano quotidianamente ad interagire a scuola.
Nell’attuale, continua mistificazione delle idee e del linguaggio, occorre ribadire quali sono i principi imprescindibili, non negoziabili, della vita umana affinché non avvenga che si chiami impunemente “bene” il “male” e viceversa.
E a chi sarà dato di comprendere…comprenderà!
L’infanzia è un capolavoro di Dio. Ogni bambino ha il diritto di viverla. Essa viene impedita, in primis, quando si nega ad un bambino il diritto di nascere: anche se esistono, infatti, leggi che in taluni casi lo consentono, non è lecito rivendicare il diritto alla libera scelta dal momento che nessun essere Umano può disporre della vita di un altro! Noi stessi siamo nati perché nessuno ha osato non farci nascere, nessuno ha scelto per noi la morte: di questo non possiamo che essere grati ai nostri genitori! In un bellissimo suo libro, “La realtà dell’orco”, la Dottoressa Silvana De Mari scrisse questa dedica: “La realtà può anche essere terribile, ma la vita resta sempre meravigliosa”. Quel dono che, dunque, abbiamo apprezzato per noi non si può negarlo ad altri. La stessa cosa vale se si parla di un anziano, di un malato o di un disabile. Tutte le motivazioni che si adducono per giustificare l’ingiustificabile si inseriscono in un sistema di “pseudo-carità” mortifera, figlia di un buonismo atto solo a giustificare azioni di malvagia natura.
Parimenti avviene quando nella scuola si propongono, o si approvano, quei progetti che, insidiosamente, mirano ad alterare la realtà dei fatti ed a confondere le idee di ignari bambini. Quale buon insegnamento potrà mai scaturire laddove la verità sull’identità, sugli affetti familiari, sulla propria storia e sui valori autentici venga annebbiata da corsi o da libri artatamente scelti?
O ancora: quale apprendimento potrà maturare l’alunno in un contesto scolastico dove non vengano seriamente richieste ed applicate valide regole di convivenza, o dove il docente non si proponga o non si configuri anche, oltre che come formatore, soprattutto come presenza autorevole? Potrà mai l’insegnante, privo di tale necessario carisma, predisporre situazioni di ascolto e instaurare un dialogo efficace e proficuo con i discenti? Sarà mai capace di coinvolgerli emotivamente e affascinarli col piacere della conoscenza? L’insegnamento, per essere ricco di frutti, esige l’attuazione di canoni senza i quali nessuna interazione con l’alunno potrà realizzarsi.
Le regole sono necessarie. Urge dunque ridefinirle, o definirle ove non esistano. Bisogna anche viverle, per insegnarle. Ciò presuppone onestà intellettuale, obiettività, pacatezza, generosità dell’insegnante, empatia con gli allievi, oltre alle consuete competenze professionali che, altrimenti, risulterebbero monche. Le regole, poi, bisogna saperle proporre. Con dolcezza ma anche con severità. Quel tanto che è necessario. Ogni proposta educativa risulterà, infatti, vana se prescinderà dall’acquisizione del rispetto e dall’educazione perché, facilmente, in classe si potrebbe avere a che fare con alunni irrispettosi o violenti. Compito della scuola oggi è, inoltre, creare un rapporto sincero, di vera cooperazione con i genitori. Ad essi, principalmente, bisognerebbe far comprendere, anzi, ri-comprendere, il senso dell’istruzione e l’obiettivo dell’educazione: quello di insegnare ai propri figli a conoscere per costruirsi le ali per il futuro, a saper vivere al meglio possibile in ogni situazione della vita, a convivere civilmente nel rispetto di ogni Altro. Ma la collaborazione con i genitori non implica il divenire in un certo senso complici, sottacendo o minimizzando taluni comportamenti scolastici scorretti e deleteri per l’alunno e per l’intera classe. I genitori devono essere consapevoli della necessità di educare i figli allo sforzo, all’impegno, al successo ed anche all’insuccesso, alla conquista del voto, non al voto di diritto. Si dica basta, dunque, alla pretesa del voto alto, non meritato. Un obiettivo ambizioso? No, ove la Scuola, degna di questo nome, sia guidata da dirigenti capaci, didatticamente e pedagogicamente preparati, non proni ad una mentalità utilitaristica e di profitto che tende a far compiacere i genitori a scapito, spesso, del serio e complesso lavoro dell’insegnante, con la motivazione che più alunni si hanno più la scuola è di prestigio. Urgono dirigenti che diano senso e valore all’attività di ogni insegnante realmente capace di prodigarsi per il suo lavoro, e che non sia un semplice protagonista di sceneggiate teatrali avulse da una cultura profonda, ben radicata nel fanciullo. Nella scuola si operi per incentivare lo studio approfondito della storia e dell’autentica cultura europea: senza memoria delle radici l’uomo perde, infatti, la propria identità e non è lecito ad alcun insegnante fare tabula rasa della storia, delle radici e di ogni sentimento cristiano che alberga nei cuori dei bambini!

Antonella Paniccia

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