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cardinal-raymond-burkeCon un intervento sul National Catholic Register il Cardinale Raymond Leo Burke, patrono del Sovrano Ordine militare di Malta commenta l’esortazione post sinodale di Papa Francesco Amoris Laetitia. Scrive il Cardinale: «I media laici e persino alcuni media cattolici» hanno definito l’esortazione «come una rivoluzione nella Chiesa, come un cambiamento radicale rispetto alla dottrina e la prassi della Chiesa sul matrimonio e la famiglia. Una tale visione del documento è sia una fonte di meraviglia e di confusione per i fedeli, sia potenzialmente una fonte di scandalo, non solo per i fedeli ma per gli altri di buona volontà che guardano a Cristo e alla sua Chiesa per insegnare e riflettere in pratica la verità riguardante il matrimonio e i suoi frutti, la vita familiare, la prima cellula della vita della Chiesa e di ogni società».

È anche «un cattivo servizio alla natura del documento come frutto del Sinodo dei Vescovi, un incontro dei vescovi che rappresentano la Chiesa universale “per prestare aiuto con i loro consigli al Romano Pontefice nella salvaguardia e nell’incremento della fede e dei costumi, nell’osservanza e nel consolidamento della disciplina ecclesiastica e inoltre per studiare i problemi riguardanti l’attività della Chiesa nel mondo”» (Canone 342 del Codice di Diritto Canonico).

«In altre parole, sarebbe una contraddizione del lavoro del Sinodo dei Vescovi per mettere in moto la confusione riguardo a ciò che insegna, tutela e promuove con la sua disciplina la Chiesa. L’unica chiave per la corretta interpretazione di Amoris Laetitia è il costante insegnamento della Chiesa e la sua disciplina che tutela e promuove questo insegnamento. Papa Francesco chiarisce, fin dall’inizio, che l’esortazione post-sinodale non è un atto di magistero (n° 3). La forma stessa del documento conferma ciò. È scritto come una riflessione del Santo Padre sul lavoro delle ultime due sessioni del Sinodo dei Vescovi. Per esempio, nel capitolo otto, che alcuni vogliono interpretare come la proposta di una nuova disciplina, con ovvie implicazioni per la dottrina della Chiesa, Papa Francesco, citando la sua esortazione post-sinodale Evangelii Gaudium, dichiara: “Comprendo coloro che preferiscono una pastorale più rigida che non dia luogo ad alcuna confusione. Ma credo sinceramente che Gesù vuole una Chiesa attenta al bene che lo Spirito sparge in mezzo alla fragilità: una Madre che, nel momento stesso in cui esprime chiaramente il suo insegnamento obiettivo, “non rinuncia al bene possibile, benché corra il rischio di sporcarsi con il fango della strada” (n. 308). In altre parole, il Santo Padre ha proposto quello che ritiene personalmente sia la volontà di Cristo per la sua Chiesa, ma lui non ha intenzione di imporre il suo punto di vista, né di condannare coloro che insistono su quello che lui chiama “una più rigorosa cura pastorale”. La natura del documento, personale e non magisteriale, è evidente anche nel fatto che i riferimenti citati sono principalmente la relazione finale del 2015 della sessione del Sinodo dei Vescovi, e gli indirizzi e le omelie dello stesso papa Francesco. Non vi è alcun sforzo costante di mettere in relazione il testo, in generale, o queste citazioni al Magistero, ai Padri della Chiesa e altri autori comprovati».

«Per di più», continua il cardinal Burke, è «un documento che è il frutto del Sinodo dei Vescovi, deve sempre essere letto alla luce della finalità del Sinodo stesso, vale a dire, per salvaguardare e promuovere ciò che la Chiesa ha sempre insegnato e praticato in accordo con il suo insegnamento. In altre parole, una esortazione post-sinodale, per sua stessa natura, non propone una nuova dottrina e una nuova disciplina, ma applica la dottrina perenne e la disciplina per la situazione del mondo al momento». Chiedendosi come sia da ricevere il documento, il Cardinale scrive: «Prima di tutto, dovrebbe essere ricevuto con il profondo rispetto dovuto al Romano Pontefice come Vicario di Cristo», come ricorda Lumen Gentium, 23. «Alcuni commentatori confondono tale rispetto con l’obbligo di “credere con fede divina e cattolica” (Canone 750, § 1 del Codice di Diritto Canonico) tutto quanto è contenuto nel documento. Ma la Chiesa cattolica, pur insistendo sul rispetto dovuto alla ministero petrino come istituita da Nostro Signore stesso, non ha mai affermato che ogni espressione del Successore di San Pietro debba essere ricevuta come parte del suo magistero infallibile. La Chiesa è stata storicamente sensibile alla tendenza erronea di interpretare ogni parola del papa come obbligante la coscienza, che, naturalmente, è una cosa assurda. Secondo una comprensione tradizionale, il Papa ha due corpi, il corpo che è il suo come un singolo membro di fedeli ed è soggetto alla mortalità, e il corpo che è il suo Vicario di Cristo in terra, che, secondo la promessa di nostro Signore, resiste fino al suo ritorno in gloria. Il primo corpo è il suo corpo mortale; il secondo corpo è l’istituzione divina della sede di San Pietro e dei suoi successori. I riti liturgici e la veste che circonda il papato sottolineano la distinzione, in modo che una riflessione personale del Papa, mentre riceve il rispetto dovuto alla sua persona, non è confusa con la fede vincolante dovuta all’esercizio del magistero. Nell’esercizio del magistero, il Romano Pontefice come Vicario di Cristo agisce in una comunione ininterrotta con i suoi predecessori che iniziano con San Pietro».

A questo punto il cardinale ricorda la discussione che ha circondato la pubblicazione delle conversazioni tra il beato Papa Paolo VI e Jean Guitton nel 1967. «La preoccupazione era il pericolo che i fedeli avrebbe potuto confondere le riflessioni personali del Papa con l’insegnamento ufficiale della Chiesa. Mentre il Romano Pontefice ha riflessioni personali che sono interessanti e possono essere fonte di ispirazione, la Chiesa deve essere sempre attenta a sottolineare che la loro pubblicazione è un atto personale e non un esercizio del magistero pontificio. In caso contrario, coloro che non capiscono la differenza, o non vogliono capire, presenteranno tali riflessioni e osservazioni, anche aneddotici del Papa, come dichiarazioni di un cambiamento nella dottrina della Chiesa, per la grande confusione dei fedeli. Tale confusione è dannosa per i fedeli e indebolisce la testimonianza della Chiesa come Corpo di Cristo nel mondo. Con la pubblicazione di Amoris Laetitia, il compito di pastori e altri maestri della fede è quello di presentarlo nel contesto dell’insegnamento e della disciplina della Chiesa, in modo che serva a costruire il Corpo di Cristo nella sua prima cellula della vita, che è il matrimonio e la famiglia. In altre parole, l’esortazione post-sinodale può essere correttamente interpretata solo come un documento non magisteriale, utilizzando la chiave del Magistero come è descritto nel Catechismo della Chiesa Cattolica (numeri 85-87). La dottrina ufficiale della Chiesa, infatti, fornisce la chiave interpretativa insostituibile all’esortazione post-sinodale, in modo che possa servire veramente il bene di tutti i fedeli, unendoli sempre più strettamente a Cristo, che solo è la nostra salvezza.

Non ci può essere opposizione o contraddizione tra dottrina e pratica pastorale della Chiesa, dal momento che, come il Catechismo ci ricorda, la dottrina è intrinsecamente pastorale: “La missione del Magistero è legata al carattere definitivo dell’Alleanza che Dio in Cristo ha stretto con il suo popolo; deve salvaguardarlo dalle deviazioni e dai cedimenti, e garantirgli la possibilità oggettiva di professare senza errore l’autentica fede. Il compito pastorale del Magistero è quindi ordinato a vigilare affinché il popolo di Dio rimanga nella verità che libera. Per compiere questo servizio, Cristo ha dotato i Pastori del carisma dell’infallibilità in materia di fede e di costumi. L’esercizio di questo carisma può avere parecchie modalità” (n. 890 del Catechismo della Chiesa Cattolica). La natura pastorale della dottrina si nota, in modo eloquente, nell’insegnamento della Chiesa sul matrimonio e la famiglia. Cristo ci mostra la natura profondamente pastorale della verità della fede nel suo insegnamento sulla Santità del matrimonio nel Vangelo (Mt 19,3-12), in cui Egli insegna di nuovo la verità del progetto di Dio sul matrimonio “fin dall’inizio” […]. In oltre 40 anni di ministero sacerdotale, e 21 da vescovo, ho conosciuto molte  coppie che vivono in una unione irregolare, per le quali, sia io che i miei confratelli sacerdoti abbiamo avuto cura pastorale. Anche se la loro sofferenza risulta chiara a qualsiasi anima compassionevole, ho visto sempre più chiaramente nel corso degli anni che il primo segno di rispetto e di amore nei loro confronti è quello di dire la verità con amore. In questo modo, l’insegnamento della Chiesa non è qualcosa che ha ulteriormente aperto le loro ferite, ma, in verità, li libera per amore di Dio e del prossimo […]. Il matrimonio cristiano non è un’idea; si tratta di un sacramento che conferisce la grazia a un uomo e una donna per vivere un amore fedele, permanente e procreativo. Ogni coppia cristiana, che validamente si sposa, riceve, dal momento del consenso, la grazia di vivere l’amore che si è impegnato a vivere. Perché noi tutti soffriamo gli effetti del peccato originale e perché il mondo in cui viviamo auspica una completamente diversa comprensione del matrimonio, gli sposi soffrono le tentazioni di tradire la realtà oggettiva del loro amore.”

Burke continua affermando che “Cristo dà sempre loro la grazia per rimanere fedeli a questo amore fino alla morte. L’unica cosa che li può limitare nella loro risposta fedele è la loro incapacità di rispondere alla grazia data loro nel sacramento del matrimonio. In altre parole, la loro lotta non è con qualche idea loro imposta dalla Chiesa. La loro lotta è con le forze che li vorrebbero portare a tradire la realtà della vita di Cristo in essi. Nel corso degli anni e, in modo particolare, nel corso degli ultimi due anni, ho incontrato molti uomini e donne che, per qualsiasi ragione, sono separati o divorziati dal coniuge, ma che vivono nella fedeltà alla verità del loro matrimonio e continuano a pregare ogni giorno per la salvezza eterna del coniuge, anche se lui o lei li ha abbandonati. Nelle nostre conversazioni, essi riconoscono la loro sofferenza ma, soprattutto, la pace profonda che è in loro nel rimanere fedeli al loro matrimonio. Alcuni dicono che una tale risposta alla separazione o al divorzio costituisce un eroismo a cui non può essere tenuto un membro medio dei fedeli, ma, in verità, siamo tutti chiamati, qualunque sia il nostro stato di vita, a vivere eroicamente. Papa Giovanni Paolo II, a conclusione del Grande Giubileo dell’Anno 2000, facendo riferimento alle parole di Nostro Signore a conclusione del discorso della montagna, ‘Siate perfetti come il Padre vostro celeste è perfetto’ (Mt 5,48), ci ha insegnato l’eroicità della nostra vita quotidiana in Cristo con queste parole: “Come il Concilio [Vaticano II] stesso ha spiegato, questo ideale di perfezione non va equivocato come se implicasse una sorta di vita straordinaria, praticabile solo da alcuni “geni” della santità. Le vie della santità sono molteplici, e adatte alla vocazione di ciascuno. Ringrazio il Signore che mi ha concesso di beatificare e canonizzare, in questi anni, tanti cristiani, e tra loro molti laici che si sono santificati nelle condizioni più ordinarie della vita. È ora di riproporre a tutti con convinzione questa “misura alta” della vita cristiana ordinaria: tutta la vita della comunità ecclesiale e delle famiglie cristiane deve portare in questa direzione” (Novo millennio ineunte, n. 31). Gli uomini e le donne che, nonostante una rottura nella vita coniugale, restano fedeli alla grazia del sacramento del matrimonio, vivono una vita eroica che la grazia rende loro possibile giorno dopo giorno.”

“Sant’Agostino di Ippona, – conclude Burke – predicando nel giorno della festa di San Lorenzo, diacono e martire, nell’anno 417, ha utilizzato una bella immagine per incoraggiarci nella nostra cooperazione con la grazia divina […] Egli ci assicura che nel giardino del Signore non ci sono solo le rose dei martiri, ma anche i gigli dei vergini, le edere dei coniugi, e le violette delle vedove. Egli conclude che, di conseguenza, nessuno disperi per quanto riguarda la sua vocazione perchè “Cristo è morto per tutti” (Sermone 304). Auspico che la ricezione di Amoris Laetitia, in fedeltà al Magistero, confermi gli sposi nella grazia del sacramento del matrimonio, in modo che possa essere un sacramento dei fedeli duraturo nell’amore di Dio come previsto “fin dal principio”, e che il Magistero sia la chiave per la sua comprensione per far si “che il Popolo di Dio dimori nella verità che libera” (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 890)».

Matteo Orlando

6 pensiero su “Il cardinale Raymond Burke: “Amoris Laetitia non fa parte del Magistero””
  1. Could you publish this in English please? Cardinal Burke (formerly my bishop) is a champion of the faith and a rock for all of us.

    Thank you

  2. Ho un profondo rammarico, che mi fà perdere la speranza ….. Ho portato avanti un matrimonio fatto di tradimenti, menzogne e miseria per essere fedele alla scelta fatta , anche se la voglia di scappare era tanta. Ho messo al mondo sei figli e combattuto per loro. Per me non è rimasta che tanta solitudine. Vallo a sapere che sarebbe finita così!
    Mi sarei ritagliata un angolino di gioia anche per me! Ma ormai è troppo tardi ! Come si dice a Roma ” Cornuta e mazziata”!

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