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bud-spencer«Io devo credere che c’è una persona, che nel mio caso è Dio. Ma perché, nel momento in cui io, da adulto, capisco che siamo in un mare di cose, enormi più di noi, io mi devo attaccare a Dio. Con la speranza che, dal momento in cui lui mi chiama, capisco tutto, perché oggi non si capisce niente…». Così diceva Bud Spencer, al secolo Carlo Pedersoli, uno degli attori più amati dal pubblico italiano e internazionale, con un curriculum di circa 130 film (era anche stato operaio in Brasile, olimpionico di nuoto, autore per cantanti del calibro di Ornella Vanoni e praticante di altri sport minori) scomparso recentemente a 86 anni.

Pedersoli, che era sposato da ben 55 anni con Maria Amato («ho avuto la grande fortuna nella vita di incontrare questa donna meravigliosa»; «Come abbiamo fatto a stare insieme così a lungo? Chiedete a lei come ha fatto a sopportarmi»), era padre di tre figli («Ho avuto tre figli» e «Auguro a tutti la gioia di crescere dei bambini ma non mi permetto di insegnare niente a nessuno») che così hanno annunciato la sua morte: “Papà è volato via serenamente alle 18.15. Non ha sofferto, aveva tutti noi accanto e la sua ultima parola è stata grazie”.

A parte la filmografia nella quale riscontriamo vari titoli di ispirazione “spirituale” (“Dio perdona io no”, i “Quattro dell’Ave Maria”, “Anche gli angeli mangiano fagioli”, “Porgi l’altra guancia”), Pedersoli ha sempre preso sul serio Dio, non fingendo contrarietà alla religione come, invece, va di moda nel mondo del cinema.

«Nella vita la cosa essenziale è tener presente che senza credere in qualche cosa non si fa nulla. I miei genitori erano credenti e così li ho seguiti. Quando ho capito che la fede era una cosa giusta, ho creduto ancora di più. Ho immagazzinato i loro insegnamenti in maniera completa, per questo credo ancora oggi». «Il più grande dono che mi ha dato Dio è la decenza». «Ho fatto tante cose ma senza Dio non avrei fatto nulla. Ho un grande senso di gratitudine verso il Cielo».

Era stato chiarissimo in un’intervista al Welt am Sonntag (leggi QUI in tedesco): «Ho bisogno di religione, più che mai in questa età avanzata. Ho bisogno di fede. Credo in Dio, ed è quello che mi salva. E prego. Perchè? Perchè riconosco in modo sempre più forte come sia nulla ciò a cui prima attribuivo un grande valore. Lo sport, dove volevo affermarmi, la popolarità. Chi si inorgoglisce per queste cose, chi insegue solo il successo, la fama, è uno sciocco».

Pedersoli era anche umile. «Che idiota ero. Ho fatto molti errori. Con le donne, gli amici, ovunque. Le insidie, grandi follie. Ora a 86 anni di età vedo molte cose in modo diverso. La vita mi ha insegnato che contano altre cose». «Non sono nessuno. Non conto. Anche i migliori, più forti e più brillanti sono morti. Ho imparato che pensare solo a questa vita terrena è fumo negli occhi».

«La vita non è nelle nostre mani. Prima o poi ci presenteremo di fronte al Padreterno […]. Non si può sfuggire. Da quando siamo nati, siamo in viaggio verso la morte». «Sono sempre più appassionato della vita ogni giorno che passa, ma la morte non mi spaventa. Perché credo che in realtà non si muore, e che la nostra anima sia viva anche dopo aver lasciato la terra. Anzi, sono certo che la vita continua. Intanto affronterò la morte, in ogni caso, con dignità e con la stessa dignità affronterò il giudizio di Dio», rifletteva Bud Spencer. «Affronterò la morte, in ogni caso, con dignità e con la stessa dignità affronterò il giudizio di Dio». «Vado avanti e sono curioso, voglio sempre fare qualcosa di nuovo. Della morte non mi preoccupo: Dio esiste, il resto ve lo farò sapere dall’Aldilà! Mi immagino che ci sveglieremo senza questo corpo… Ma per ora non ho voglia di saperne di più».

Carlo Pedersoli si era impegnato recentemente contro la violenza domestica e gli uomini che alzano le mani contro le donne, sollecitando alla non violenza, alla carità e all’umiltà. In Porgi l’altra guancia Bud Spencer ha interpretato anche il missionario: «Certo, per essere un prete ero un po’ violento. Nei film avevo tante cose da far capire agli altri, proprio come capita ai preti, e lo facevo sia con le buone che con le cattive maniere».

Di recente aveva scritto una biografia – Mangio ergo sum (ed. Npe, 2015) – nella quale svelava alcuni aspetti meno noti della sua personalità. «Mangiare è essenziale, senza cibo si muore», ripete. «È tremendo quanto accade in tante parti del mondo, dove spesso i bambini non riescono a mangiare a sufficienza. Allo stesso modo mi dispero anche quando sento parlare di sprechi nelle mense scolastiche». «Con Terence Hill mangiamo spaghetti. Anche con il Papa, se potessi, li mangerei volentieri: glieli preparerei io stesso». «Questo Papa è meraviglioso, lo trovo straordinario nel modo in cui sente e trasmette la fede […] avrei una curiosità da chiedergli: qual è il segreto del mate (la tipica bevanda argentina simile a una tisana, ndr), che ha un sapore unico». «Con chi vorrei mangiare il mio ultimo pasto? Un bel piatto di spaghetti in compagnia di Gesù».

«La vita può essere un passaggio meraviglioso, dipende dagli incontri. Io ho avuto incontri fortunati e un’esistenza lunga e bella. Ho imparato cos’era buono e ho fatto cose importanti. Certo mi sento peccatore, ma nelle cose piccole… In tutti questi anni sono cose che succedono, o no?». «Penso che la vita vada colta tutta d’un colpo: scorre veloce, quasi non ce ne accorgiamo. Anche la coppia con Terence Hill è nata quasi per caso. Ci siamo incrociati sul set di Dio perdona, io no solo perché Mario dovette sostituire Peter Martell, a cui era già stata assegnata la parte».

«Non mi interessa un “addio” da eroe. Tra l’altro sono un uomo come tanti. La vita è una farsa, tanto fumo negli occhi, tante gioie ma anche tante delusioni. L’eroismo, nel mio caso, è un qualcosa di artificiale, una finzione. Il vero eroe è solo chi dà la vita per il suo Paese o protegge con un atto straordinario la sua famiglia. Io non sono uno di quelli».

Matteo Orlando

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